I disturbi d’ansia: impariamo a chiamarli con il loro nome

disturbi ansia
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“Alla mia età ancora non ho imparato a gestire l’ansia. In realtà sono molte le cose che non ho imparato e che nessuno mi ha spiegato. Ci insegnano le equazioni, Il cinque maggio a memoria, i nomi dei sette re di Roma, e nessuno ci chiarisce come affrontare le paure, in che modo accettare le delusioni, dove trovare il coraggio per sostenere un dolore.”

Lorenzo Marone

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Oggi è il turno del disturbo più utilizzato (e spesso a sproposito) nel linguaggio comune: L’ANSIA.
Chiunque di noi nella vita avrà detto, o sentito, espressioni come “c’ho l’ansia”, “sono paranoic*”, “sono una persona ansiosa” et simili. Ma siamo davvero tutt* sicur* di essere patologic*?

L’ansia è la naturale attivazione fisiologica che l’organismo mette in atto in risposta a situazioni potenzialmente pericolose. È un’emozione spiacevole associata ad un senso generale di pericolo rispetto al verificarsi di qualcosa di brutto. Come tutte le emozioni, quindi, non è patologica in sé e per sé, anzi, è adattiva e protettiva: è una sorta di allarme che il nostro corpo attiva per renderci più attenti a ciò che ci circonda.
Se, quindi, prima di un esame hai il battito accelerato, aumenta la tua sudorazione e hai un senso di agitazione generale, non temere: è tutto nella norma, il tuo organismo si prepara ad affrontare l’imminente pericolo!

Allora, quand’è che l’ansia diventa patologica? Come molti altri disturbi psicologici, ciò che rende questa emozione da adattiva a disadattiva è l’intensità e la frequenza con cui si manifesta. Quando l’ansia è patologica, inoltre, ciò che la fa scatenare non è il pericolo, ma la percezione di pericolo che l’individuo ha.

Anche in questo caso però non c’è nulla da temere: può capitare di essere più vulnerabili allo stress e all’ansia in particolari momenti di vita, è del tutto normale. I disturbi d’ansia sono, infatti, tra i disturbi psicologici più frequentemente sperimentati. Anche numerosissime star hanno dichiarato di averne sofferto: Emma Stone, Alessandro Gassman, Adele, Beyoncé, Carlo Verdone (e molti dei personaggi da lui interpretati) sono solo alcuni nomi di una lunghissima lista. Nel caso in cui l’ansia diventi pervasiva, può essere facilmente affrontata e risolta attraverso terapie farmacologiche e/o psicologiche.

Classificazione dei disturbi d’ansia

In ambito psicopatologico, il termine “ansia” da solo significa ben poco. In base al trigger, ossia allo stimolo che scatena l’ansia, e in base all’attivazione fisiologica in risposta ad esso, si distinguono diversi disturbi. Quelli con una maggiore incidenza nella popolazione sono: disturbo d’ansia generalizzata, fobie specifiche, disturbo di panico con o senza agorafobia e disturbo d’ansia sociale. In particolare, il disturbo di panico e l’agorafobia sono spesso considerati insieme, in quanto tendono a manifestarsi congiuntamente, ma non sempre. Esistono infatti casi in cui vengono diagnosticati singolarmente (DSM-5).

DISTURBOTRIGGERRISPOSTA FISIOLOGICA
Disturbo d’ansia generalizzataNon specifico, ma generalizzato in tutti gli aspetti della vita della persona.Irrequietezza, affaticamento, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno.
Fobia specificaSpecifico per ogni individuo, i più comuni sono: volare, altezze, sangue, animali.Paura ed evitamento dello stimolo.
Disturbo di panicoDifficile da indentificare, esordio inaspettato. Il primo attacco diventa il trigger per i successivi.Palpitazioni, sudorazione, tremori, sensazione di soffocamento, sensazione di asfissia, dolore o fastidio al petto, nausea, brividi o vampate di calore, ecc.
AgorafobiaTrasporti, luoghi affollati, luoghi chiusi, stare in fila, stare fuori casa da soli.Paura, evitamento, richiesta di accompagnamento.
Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale)Interazioni sociali o eseguire una prestazione di fronte ad altre persone.Paura ed evitamento dello stimolo.

È importante sottolineare che per tutti questi disturbi uno dei criteri che deve essere soddisfatto è il seguente: l’ansia/la paura/l’evitamento/la preoccupazione/i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Questa è un’altra conferma del fatto che la manifestazione ansiosa non è in sé e per sé disfunzionale: ci sono persone che possono essere di carattere più ansiose, ma che non hanno conseguenze negative negli ambiti importanti della loro vita. Invece possono esserci persone che hanno poche manifestazioni ansiose, ma che influenzano negativamente aspetti importanti della loro vita.

In questo articolo cercheremo di fornire una visione generale dei disturbi d’ansia, ma per approfondimenti più specifici non perdete di vista questa rubrica!

Disturbo d’ansia generalizzata

In base ai criteri diagnostici del DSM-5 [1], il disturbo d’ansia generalizzata (o DAG) è caratterizzato da ansia e preoccupazione eccessive, che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, relative ad una quantità di eventi o di attività (prestazioni lavorative/scolastiche). L’ansia e la preoccupazione sono difficilmente controllabili e sono associate ad almeno tre di questi sintomi:

  1. Irrequietezza, sentirsi tesi/e, “con i nervi a fior di pelle”.
  2. Facile affaticamento.
  3. Difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria.
  4. Irritabilità.
  5. Tensione muscolare.
  6. Alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, o sonno inquieto e insoddisfacente).

Il DAG è tra i disturbi d’ansia più tendenti alla cronicizzazione, ha un tasso di morbilità di circa il 9% (il che vuol dire che circa il 9% della popolazione mondiale nell’arco della propria vita ha avuto, ha o avrà tale disturbo), la frequenza nelle donne è circa il doppio rispetto agli uomini e l’età media di insorgenza è 30 anni [1].

Da una meta-analisi (una raccolta di numerose ricerche) del 2007 [2], gli approcci psicoterapici più efficaci risultano essere la terapia cognitiva e la terapia del rilassamento. La terapia cognitiva prevede l’identificazione dei pensieri irrazionali alla base dell’ansia e della preoccupazione, per poi procedere con la messa in discussione di essi e la conseguente sostituzione con pensieri più funzionali e meno ansiogeni. La terapia del rilassamento ha, invece, un approccio comportamentale, quindi si agisce non solo sulla mente, ma anche sul corpo. Ha infatti l’obiettivo di insegnare al paziente a ridurre il livello di attivazione fisiologica nelle situazioni stressanti.

Per quanto riguarda l’approccio farmacologico, il trattamento di prima scelta è rappresentato dagli antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), dall’ansiolitico buspirone e dalle benzodiazepine, anche se vengono prescritte di rado a causa del rischio di svilupparne dipendenza [3].

Fobia Specifica

In base ai criteri diagnostici del DSM-5 [1], la fobia specifica è caratterizzata da paura o ansia marcate verso un oggetto o situazione specifici. La situazione o l’oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia, e/o vengono attivamente evitati, oppure sopportati con paura o ansia intense. Le reazioni scatenate dallo stimolo sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifici e al contesto socioculturale. Le fobie vengono categorizzate in base allo stimolo fobico, le cui principali categorie sono:

  • Animale (ad esempio, ragni, insetti, cani);
  • Ambiente naturale (ad esempio, altezze, temporali, acqua);
  • Sangue-iniezioni-ferite (ad esempio, aghi, procedure mediche invasive);
  • Situazionale (ad esempio, aeroplani, ascensori, luoghi chiusi);
  • Altro. La categoria “Altro” può comprendere gli stimoli più svariati.

Molto spesso le persone che soffrono di tale disturbo presentano fobie “combinate”: ad esempio, una persona può avere la fobia degli aeroplani, delle altezze e degli ascensori. Potremmo definirlo un disturbo “adolescenziale”, infatti i tassi di incidenza sono del 5% nei bambini, del 16% negli adolescenti (13-17 anni) e del 3-5% negli individui più anziani. In questo caso, la differente frequenza in donne e uomini dipende dallo stimolo fobico: le fobie animali, situazionali e riferite all’ambiente naturale sono più frequenti nelle donne, mentre quelle relative a sangue-iniezioni-ferite sono frequenti allo stesso modo nei due gruppi.

La fobia specifica può svilupparsi in seguito ad un evento traumatico, sperimentato in prima persona, osservato o, perché no, anche solo raccontato: la nostra mente collega la sensazione di disagio con quel determinato stimolo che di conseguenza diventerà fobico e sarà il più possibile evitato. A volte può risultare difficile stabilire come una fobia si è sviluppata, anche perché può esordire molto precocemente.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, anche in questo caso vengono utilizzati principalmente antidepressivi e benzodiazepine (anche se l’utilizzo di queste ultime, come già detto, è controverso) [3]. Nel caso della fobia specifica, la farmacoterapia ha lo scopo principale di tenere a bada la sintomatologia fisiologica, di controllare eventuali episodi di ansia acuta. Il che significa che, nella maggior parte dei casi, questa terapia da sola difficilmente elimina la causa del disturbo, quindi quando si interrompe l’assunzione i sintomi tendono a tornare.

Per quanto riguarda la psicoterapia, la tecnica più utilizzata è di tipo comportamentale, ed è l’esposizione graduale allo stimolo fobico: ci si avvicina lentamente e progressivamente allo stimolo fobico, magari prima solo immaginandolo, poi in foto, poi in video, per poi arrivare all’esposizione dal vivo. Questa tecnica è accompagnata da un processo più cognitivo di ristrutturazione delle idee irrazionali relative allo stimolo, come ad esempio “se prendo l’ascensore, sicuramente si romperà ed io morirò”.  

Per quanto questo disturbo sia molto intenso da sperimentare, il lato positivo è che questo tipo di terapia risulta essere davvero molto efficace.

Disturbo di panico con o senza agorafobia

In base ai criteri diagnostici del DSM-5 [1], il disturbo di panico è caratterizzato da ricorrenti attacchi di panico inaspettati. Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si possono verificare almeno quattro di questi sintomi:

  • Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia;
  • Sudorazione;
  • Tremori fini o a grandi scosse;
  • Dispnea o sensazione di soffocamento;
  • Sensazione di asfissia;
  • Dolore o fastidio al petto;
  • Nausea o disturbi addominali;
  • Sensazioni di vertigine di instabilità, di testa leggera o svenimento;
  • Brividi o vampate di calore;
  • Parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
  • Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi);
  • Paura di perdere il controllo o di “impazzire”;
  • Paura di morire;

La comparsa di tali sintomi, in quanto improvvisa, può avvenire anche a partire da uno stato di quiete.

Almeno uno degli attacchi di panico è seguito, per almeno un mese, da preoccupazione persistente per l’insorgere di altri attacchi o per le loro conseguenze (es. perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”), e/o da significativa alterazione disadattiva del comportamento correlata agli attacchi (es. comportamenti pianificati per evitare attacchi di panico, come l’evitamento dell’esercizio fisico oppure di situazioni non familiari).

A molti di noi può essere successo, sporadicamente e in situazioni specifiche e particolari, di provare attacchi di panico: per quanto comunque non debba essere sottovalutato, ciò non significa soffrire di disturbo di panico. A livello statistico, infatti, gli attacchi di panico colpiscono circa l’11% della popolazione in un solo anno, mentre nello stesso arco di tempo il disturbo di panico interessa circa il 2-3% della popolazione [1]. Questo vuol dire che la maggior parte delle persone che manifestano attacchi di panico guarisce rapidamente, senza sviluppare il disturbo.  

Il primo attacco di panico è apparentemente improvviso, si manifesta come un fulmine a ciel sereno e ciò crea un patologico circolo vizioso di ansia anticipatoria: il primo attacco di panico è un’esperienza terribile, e crea nella persona il terrore che si possa verificare di nuovo. Questo terrore, a sua volta, causa un’ipervigilanza dei sintomi e un’interpretazione errata di ogni attivazione fisiologica leggermente al di fuori della norma (es. se si ha una leggera tachicardia, si penserà che si stia per avere un altro attacco). Queste interpretazioni non fanno altro che aumentare la “paura della paura”, che molto probabilmente causerà un nuovo attacco di panico.

Un’altra conseguenza di questa “paura della paura” è l’evitamento di tutte quelle situazioni che possono innescare un attacco di panico: da un lato, attività e/o sostanze che aumentano l’attivazione fisiologica, come l’attività fisica, la corsa, bevande eccitanti come il caffè; dall’altro lato, situazioni che possono mettere a disagio, o che possono rendere difficile il soccorso nel caso in cui si manifesti un attacco di panico.

Per questo motivo, come accennato precedentemente, il disturbo di panico è spesso accompagnato dall’agorafobia. Secondo i criteri diagnostici del DSM-5 [1], l’agorafobia è caratterizzata da paura o ansia marcate relative a due (o più) delle seguenti cinque situazioni:

  • Utilizzo dei trasporti pubblici (es. automobili, bus, treni, navi, aerei).
  • Trovarsi in spazi aperti (es. parcheggi, mercati, ponti).
  • Trovarsi in spazi chiusi (es. negozi, teatri, cinema).
  • Stare in fila o tra la folla.
  • Essere fuori casa da soli.

La persona teme o evita queste situazioni a causa di pensieri legati al fatto che potrebbe essere difficile fuggire oppure che potrebbe non essere disponibile un soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi simili al panico o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti. Le situazione agorafobiche provocano quasi sempre paura o ansia, vengono attivamente evitate, richiedono la presenza di un accompagnatore, o vengono sopportate con paura o ansia intense.

Secondo numerosi studi, in realtà, nella maggior parte dei casi la comparsa dell’agorafobia è precedente alla comparsa degli attacchi di panico [4]. Di conseguenza, se sono presenti entrambi i sintomi, il trattamento psicoterapeutico si concentra sugli evitamenti fobici. In particolare, l’esposizione in vivo risulta efficace per il trattamento della parte agorafobica, in conseguenza apportando miglioramenti anche della sintomatologia di panico. Secondo questa tecnica, il terapeuta spiega al paziente il funzionamento dell’ansia anticipatoria e lo incoraggia ad esporsi regolarmente e prolungatamente a situazioni fobiche, chiedendogli di compilare un diario in cui dare un punteggio da 1 a 100 al disagio che ha provato nell’affrontarla.

Nel trattamento degli attacchi è consigliato anche il rilassamento applicato, soprattutto se non è presente la componente agorafobica, in quanto si lavora specificatamente sull’interpretazione catastrofica da parte della persona di normali sensazioni somatiche. Con questa tecnica il terapeuta insegna al paziente a raggiungere uno stato di completo rilassamento, che potrà quindi mettere in pratica ogni volta che si sente agitato, o che crede che stia per avere un attacco di panico.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, il trattamento di prima scelta prevede l’utilizzo di antidepressivi triciclici, in particolare l’imipramina, che in base alla gravità può essere prescritta, specialmente in fase iniziale, in combinazione a benzodiazepine [5].

Disturbo d’ansia sociale (fobia sociale)

In base ai criteri diagnostici del DSM-5 [1], il disturbo d’ansia sociale – noto anche come fobia sociale – è caratterizzato da paura o ansia marcate relative a una o più situazioni sociali nelle quali l’individuo è esposto al possibile esame degli altri: i casi più comuni sono le interazioni sociali (es. avere una conversazione), essere osservati (es. mentre si mangia) ed eseguire una prestazione di fronte ad altri (es. fare un discorso). La persona teme che sarà valutata negativamente in tali situazioni, e quindi le evita oppure le sopporta con paura o ansia intense.

Sorpresa: tra i vari disturbi, la fobia sociale è quello che colpisce maggiormente le star. Se pensiamo infatti di doverci esibire davanti a migliaia e migliaia di persone, un po’ di ansietta sale anche a noi vero? Adele, per esempio, ha raccontato che una volta, prima di uno show, è scappata dalle uscite di sicurezza, vomitando su qualcuno del pubblico. VIP a parte, è un disturbo piuttosto comune, infatti ha un tasso di incidenza del 12% sulla popolazione [1].

In generale, le situazioni che scatenano maggiore ansia sono: parlare in pubblico, parlare al telefono, essere al centro dell’attenzione, partecipare ad eventi in gruppo, guardare negli occhi le persone, iniziare una conversazione o inserirsi in una già avviata, dare o difendere le proprie opinioni, parlare con persone di autorità, fare o ricevere complimenti.

Il confine tra timidezza e fobia sociale può essere davvero difficile da tracciare. La fobia sociale però, a differenza della timidezza, si manifesta anticipatamente all’evento temuto, è disadattiva e tende a far isolare chi ne soffre. Le persone con fobia sociale tendono a valutarsi in maniera eccessivamente negativa e soprattutto tendono a distorcere i comportamenti delle altre persone, interpretandoli come giudizi negativi.

Un interessante approccio psicoterapeutico a questo disturbo è il Social Skills Training (SST), ossia una serie di tecniche finalizzate all’acquisizione di competenze sociali. Secondo la teoria del SST, infatti, alla base della fobia sociale potrebbe esserci una mancanza di abilità necessarie per le interazioni sociali che potrebbe indurre reazioni negative negli interlocutori e causare così un circolo vizioso che rende sempre più stressanti e ansiogene le interazioni sociali [6]. La SST comprende numerose tecniche terapeutiche: esposizione in vivo, tecniche di rinforzo, role playing e training di assertività.

Al contrario delle fobie specifiche, il cui trattamento farmacologico sembra essere poco efficace, nella cura della fobia sociale l’utilizzo di psicofarmaci ha mostrato una buona efficacia, in particolare gli antidepressivi triciclici e SSRI [7].

Insomma, l’universo dei disturbi d’ansia è grande e variegato. L’ansia, come abbiamo già detto, è un campanello d’allarme rispetto a qualcosa non va. Se quindi impariamo a gestirla, ma soprattutto a capirla, impareremo anche a identificare, controllare e cambiare quelle parti della nostra vita che ce la fanno attivare!

P.S. Se leggendo questo articolo avete notato di avere difficoltà nella gestione e/o manifestazione dell’ansia, rivolgetevi ad uno specialista, incluso il vostro medico di base!

Chiara Russo

Bibliografia

[1] American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition, DSM-5. Arlington, VA.

[2] Siev, J. e Chambless, D.L. (2007). Specificity of treatment effects: cognitive therapy and relaxation for generalized anxiety disorders. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 75, 513-522.

[3] Stahl, S. M. (2016). Neuro Psicofarmacologia essenziale: basi neuroscientifiche e applicazioni pratiche, seconda edizione italiana, Milano, Edi-Ermes.

[4] Fava, G.A., Rafanelli, C., Tossani, E. e Grandi, S. (2008). Agoraphobia is a disease: a tribute to Sir Martin Roth. Psychotherapy and Psychosomatics, 77, 133-138.

[5] Fava, G.A., Grandi, S. e Rafanelli, C. (2010). Terapia Psicologica, quarta edizione, Torino, Centro Scientifico Editore.

[6] Heimberg, R. G. (2002). Cognitive-behavioral Group Therapy for Social Phobia: Basic Mechanisms and Clinical Strategies. New York, Guilford Press.

[7] Muehlbacher, M., Nicke, M. K., Nickel, C. […] (2005). Mirtazapine treatment of social phobia in women: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. Journal of Clinical Psychopharmacology, 25(6), 580-583.

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