“Gli psichedelici, usati in modo responsabile e con la dovuta cautela, sarebbero per la psichiatria ciò che il microscopio è per la biologia e la medicina o il telescopio per l’astronomia”.
Stanislav Grof
La storia delle sostanze psichedeliche: un antico alleato
Il termine “psichedelico” (rivelatore della psiche), dal greco ψυχή «anima» e δηλόω «manifestare», fu coniato per la prima volta nel 1957 dalla psichiatra canadese Humphry Osmond. [1]
Le sostanze psichedeliche fanno parte della storia dell’umanità da molto tempo prima che gli scienziati, facendo luce sulle loro strutture chimiche, potessero effettivamente attribuire loro specifiche nomenclature.
Infatti, come testimoniato da pitture rupestri raffiguranti veri e propri riti sciamanici, l’utilizzo di diversi generi di funghi e piante contenenti principi attivi quali la psilocibina risale a 9000 anni fa. [2]
Le prime ricerche sugli psichedelici sono state condotte a partire dal 1960 dagli psicologi statunitensi Timothy Leary e Richard Alpert, presso la Harvard University (USA).
Questi studi hanno evidenziato i potenziali terapeutici, nel trattamento di disturbi mentali ed emotivi, di sostanze come l’LSD (un derivato sintetico dell’ergotamina), vale a dire una tossina della “segale cornuta” scoperta nel 1938 dallo scienziato svizzero Albert Hoffman. [3]
Queste ricerche hanno contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo di farmaci utilizzati in ambito psichiatrico, ma anche all’approfondimento delle funzionalità dei neurotrasmettitori e dei recettori coinvolti nei processi successivi all’assunzione delle sostanze. Nel 1970, tuttavia, la ricerca si è interrotta bruscamente. In quell’anno il presidente americano Nixon ha approvato il “Controlled Substances Act”: un provvedimento che, annoverando la psilocibina e l’LSD tra le sostanze ad alto potenziale d’abuso, ne ha limitato l’utilizzo a scopo sia medico che di ricerca. [4] La maggior parte degli studi e delle terapie condotte nei diversi paesi europei sono stati portati avanti privatamente, rimanendo così inediti.
All’inizio degli anni ‘90, a seguito di numerosi test su alcune specie animali e a seguito dello sviluppo di tecnologie diagnostiche più efficienti, i ricercatori hanno avvertito l’esigenza di approfondire il ruolo di queste sostanze all’interno della farmacologia umana.
Non è stato necessario aspettare a lungo per l’approvazione da parte dell’FDA (Food and Drug Administration); si è riaccesa così, negli Stati Uniti, l’attenzione per gli psichedelici.
A riaprire per primo le porte alla ricerca, nel 1991, è stato lo psichiatra Rick Strassman, esperto in materia di DMT (N, N-dimetiltriptamina). [5] Questa sostanza, presente in piccole quantità negli esseri umani, a causa di alcune sue caratteristiche specifiche, potrebbe aiutare a comprendere meglio la patogenesi della schizofrenia.
In che modo le sostanze psichedeliche agiscono sul corpo ?
Gli psichedelici sono un gruppo di sostanze che alterano profondamente la percezione e la consapevolezza dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Agiscono attivando un sottotipo di recettore della serotonina chiamato 5-HT2A.
Esistono due diverse sottocategorie di sostanze psichedeliche :
- Sostanze Indolealchilamine (LSD, psilocibina e DMT), caratterizzate da una struttura chimica molto simile alla serotonina, ormone del buonumore.
- Sostanze Feniletilamine (mescalina), psichedelici anfetaminergici con struttura simile alla noradrenalina, il neurotrasmettitore rilasciato in situazione di stress psico–fisico.
Sono sempre più numerosi gli studi di popolazione che testimoniano come queste sostanze siano diverse rispetto alle altre droghe di abuso, in quanto non creano dipendenza e non aumentano il rischio di incorrere in patologie psichiatriche.
Nel 2013, un interessante studio effettuato dagli psicologi clinici Pål-Ørjan e Teri Suzanne Krebs dell’Università di Trondheim (Norvegia) ha indagato la correlazione tra l’uso di sostanze psichedeliche e le ripercussioni sulla salute mentale su un campione di 135.000 persone, utilizzando il database del National Survey on Drug Use and Health (NSDUH) USA.
I risultati hanno mostrato che, in soggetti privi di familiarità per disturbi psichiatrici, non vi era alcuna evidenza di un aumentato rischio di sviluppare schizofrenia, psicosi, depressione o disturbi d’ansia. [6]
Nuova frontiera della salute mentale: La Psicoterapia Psichedelica Assistita
“L’impatto di una terapia psichedelica di successo è spesso quello della rivelazione o dell’epifania. Le persone parlano di essere testimoni di un “quadro più ampio”, mettere le cose in prospettiva, accedere ad una visione più profonda di se stessi e del mondo, liberare il dolore mentale represso, sentirsi emotivamente e fisicamente ricalibrato, lucido ed equanime. Questo è molto diverso rispetto alle descrizioni delle persone riguardo gli effetti degli SSRI, dove non è rara una sensazione contrastante di essere smorzati emotivamente”.
Robin Carhart-Harris, direttore del Centro di Ricerca Psichedelica dell’Imperial College di Londra
Uno dei trattamenti più promettenti degli ultimi 30 anni per la salute mentale è la “Psychedelic Assisted Psychotherapy”, una terapia che consiste nell’uso di sostanze psichedeliche affiancata da una terapia offerta in un ambiente sicuro, controllato e supervisionato, per trattare le malattie mentali più debilitanti. Ricercatori e medici ne descrivono tre fasi distinte:
- Sessione preparatoria: durante questa fase viene sviluppata e consolidata una fiducia terapeutica tra il paziente e un professionista qualificato, presente durante tutte le sessioni psichedeliche successive. Viene esplorata la natura della lotta interiore dell’individuo che viene preparato all’esperienza con un approccio stimolante e aperto, per poter essere guidato al meglio durante la sessione ed evitare di cadere nei cosiddetti “bad trip”.
- Sessione psichedelica: la sessione dura 8 ore, al paziente viene somministrata oralmente una capsula contenente il principio psichedelico sintetizzato, il tutto all’interno di uno studio. Il paziente può sedersi o sdraiarsi, è spesso incoraggiato ad indossare una mascherina per gli occhi e talvolta ascolta musica accuratamente selezionata. L’approccio terapeutico più comune adottato in questa fase prevede di procedere in maniera attenta, ma silenziosa, assecondando il processo emergente, offrendo assistenza e guida, se necessario, ascoltando e rispondendo al paziente, con poca analisi del contenuto. In alcuni studi, si verifica una singola sessione psichedelica ad alto dosaggio; in altri, ci possono essere dalle due alle tre sessioni.
- Sessione integrativa: si svolge subito dopo la seduta psichedelica e si può ripetere anche nei giorni successivi. Durante questa seduta, il terapeuta cerca di facilitare un vero e proprio processo di integrazione. Il paziente ha l’opportunità di elaborare, dare un senso e una valenza significativa alla propria esperienza psichedelica. [7]
Risultati nel Trattamento del Disturbo Depressivo Maggiore
Il Disturbo Depressivo Maggiore (MDD), con più di 300 milioni di diagnosi in tutto il mondo, rappresenta un’importante fonte di preoccupazione per l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ad oggi, anche i farmaci considerati più adeguati per il trattamenti del MDD (come ad esempio i farmaci SSRI – Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina), presentano del limiti di efficacia ed una serie di effetti collaterali come disfunzioni sessuali, depersonalizzazione, ansia, nervosismo e ideazioni suicide, soprattutto nei giovani.
Nuovi “antidepressivi” con effetti rapidi e prolungati potrebbero rappresentare una svolta nel trattamento della depressione e potrebbero potenzialmente migliorare e salvare vite umane. [8]
Nel Novembre 2020, il dottor Alan K. Davis, professore presso il “Center for Psychedelic and Consciousness Research” della Johns Hopkins University, ha pubblicato i risultati di uno studio condotto su 24 partecipanti con disturbo depressivo maggiore a cui è stata offerta una terapia assistita da psilocibina. I risultati dello studio evidenziano come la psilocibina somministrata all’interno di un contesto psicoterapeutico di supporto abbia prodotto effetti antidepressivi più ampi, rapidi e prolungati, risultando doppiamente più efficace della sola psicoterapia e quattro volte più incisiva delle terapie farmacologiche adottate fino ad oggi. [9]
Cosa succede all’interno della nostra mente? Come funziona effettivamente questo processo?
L’attività e la comunicazione tra alcune aree del nostro cervello sono regolate da una rete di regioni cerebrali chiamata “Default Mode Network”. Tale rete si attiva specificatamente quando una persona non è focalizzata sul mondo esterno, ma su processi mentali interni (come l’elaborazione di se stessi, i ricordi o l’immaginazione del futuro).
Con la somministrazione della psilocibina in soggetti affetti da MMD, dagli studi di Alan K. Davis (2020), emerge che la comunicazione all’interno del Default Mode Network si modifica radicalmente.
Si tratta di una vera e propria diminuzione dell’attività di queste reti che porta il paziente in stato cognitivo non vincolato e senza limiti, lasciando terreno fertile alla terapia associata.
Viene presentata ai pazienti la possibilità di poter uscire dai propri schemi, pensieri, sentimenti e comportamenti rigidi e ripetitivi.
C’è molto lavoro da fare e ottime ragioni per farlo, sia per superare i limiti evidenziati dagli attuali trattamenti farmacologici sia per i successi impressionanti di questo nuovo approccio terapeutico.
Scoperte come queste porteranno a rivoluzionare il trattamento farmacologico e psicoterapeutico della salute mentale.
Elena Pia Dalmazio Tarantino, studentessa 6 anno Facoltà di Medicina e Chirurgia di Firenze
Bibliografia
[1] ENCICLOPEDIA TRECCANI https://www.treccani.it/vocabolario/psichedelico/
[2] David E. Nichols, “The American Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics” 2016 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26841800/
[3] Mario Arturo Iannaccone, “Rivoluzione psichedelica. La CIA, gli hippies, gli psichiatri e la rivoluzione culturale degli anni sessanta”, Sugarco Edizioni, 2008
[4] Am J Bioeth, “An ethical exploration of barriers to research on controlled drugs”, 2016 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4849133/
[5] Luke Williams, “Human Psychedelic Research: A Historical And Sociological Analysis”, 1999 https://maps.org/index.php?option=com_content&view=article&id=5468#renewal
[6] Teri S. Krebs and Pål-Ørjan Johansen, “Psychedelics and Mental Health: A Population Study”, 2013 https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0063972
[7] Robin L. Carhart-Harris, “Neural correlates of the psychedelic state as determined by fMRI studies with psilocybin”, 2012 https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3277566/
[8] Carhart-Harris Robin, “We can no longer ignore the potential of psychedelic drugs to treat depression”, The Guardian 2008 https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/jun/08/psychedelic-drugs-treat-depression
[9] Alan K. Davis, Effects of Psilocybin-Assisted Therapy on Major Depressive Disorder A Randomized Clinical Trial, 2020 https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2772630