Emozioni da Covid

emozioni da covid
Tempo di lettura 31 minuti

Per condividere cosa ha significato, per non sottovalutare la parte emotiva del periodo che stiamo ancora vivendo.

“Come ti sei sentit* quando hai saputo di essere positiv*?”

“Cosa hai provato quando è cominciato il lockdown?”

“Quali emozioni e stati d’animo descriveresti per raccontare gli ultimi tempi?”

“Come ti senti rispetto a tutto questo periodo, dal tuo lavoro, alle tue relazioni?”

Illustrazione di Natalia Lopes. https://unsplash.com/photos/fmhZecom1b8

Sono queste alcune tipologie di domande che abbiamo posto a conoscenti, amiche e amici, familiari, ecc… per costruire la nostra rubrica “Emozioni da Covid”: una raccolta di pensieri, stati d’animo, sensazioni e, appunto, emozioni, che abbiamo voluto proporre e condividere. Con ciò, proviamo ad offrire un contenuto che parla di realtà, di quotidianità e di aspetti che faticosamente vengono trattati, ma che è bene non sottovalutare o sminuire: le nostre emozioni rappresentano il cuore di ciò che siamo.

Le persone coinvolte si sono messe a nostra disposizione descrivendo, con poche o molte parole, la verità del loro isolamento. Il periodo del Coronavirus, di questo maledetto e difficile virus, non verrà facilmente dimenticato. Nessun* avrebbe mai potuto immaginarlo, nessun* avrebbe mai potuto avvisarci per tempo… Provate a pensare alla vostra reazione, qualche mese fa, se qualcun* vi avesse detto che avremmo dovuto fare i conti quotidianamente con una parola come “pandemia” o con oggetti come mascherine e sanificatori! Follia.

Condividiamo quindi parole importanti di un anno particolarmente duro, parole di certo non semplici da riconoscere, perché profondamente connesse alla parte più vulnerabile di ognun* di noi. Paura, rabbia, ansia, angoscia, dolore… Ma anche forza, coraggio, resilienza… Rappresentano il cuore dei contributi raccolti.

Qui di seguito troverete proprio quanto detto da persone risultate positive al virus, adolescenti, anzian*, insegnanti, sanitari e sanitarie, e molt* altr*.

Buona lettura, buona condivisione.

Indice

Persone risultate positive al virus
Adolescenti e giovani dai 12 ai 20 anni
Sanitari e Sanitarie, persone che lavorano negli ospedali
Anziani ed Anziane
Insegnanti
Guide Turistiche
Bambini e Bambine
Persone Impegnate nell’Arte
Persone che lavorano nei supermercati

Persone risultate positive al virus

  • Sapere di essere positiva mi ha fatto sentire impotente, angosciata e molto preoccupata per le persone che avevo intorno. Ti cade il mondo addosso soprattutto perché non sai come possa evolvere il virus… (G.N. 26 anni)
  • Tranquilla di poterlo affrontare, ma preoccupata di aver potuto contagiare chi non ne era in grado…sia fisicamente che mentalmente. Sempre più convinta che il modo di prevenire ci sia. (T.P. 30 anni)
  • Quando ho saputo di essere positiva, mi è crollato il mondo addosso e sono immediatamente stata risucchiata in un turbinio di ansia, paura e un grandissimo senso di colpa. La mia mente era paralizzata e riuscivo a pensare solo alle brutte cose che sarebbero potuto succedere. (V.O. 28 anni)
  • Ho due punti di vista diversi sull’isolamento… Uno prima e uno durante. Prima di vivere con un positivo a casa, prevaleva un senso di paura e impotenza legato al non poter controllare la situazione, in cui i pensieri negativi in prospettiva prendevano il sopravvento sulla realtà, causando immobilità e demotivazione. Nel momento in cui è arrivata la notizia della positività di mia sorella, la mia mente ha scacciato quelle paure e si è messa in moto per capire come affrontare il momento in maniera lucida e consapevole. In un certo senso poter organizzare e gestire la situazione mi tranquillizzava molto, anche se ogni tanto si ripresentavano gli stessi schemi di ansie del prima della quarantena.  (E.O. 30 anni)
  • Appena ho saputo di essere positiva, sono caduta dalle nuvole, perché credevo di essere stata super attenta in ogni mio spostamento… Ma evidentemente non è stato cosi… L’amuchina, i guanti e le doppie mascherine non sono state sufficienti… il primo sentimento che ho provato è stato un misto tra sconforto e preoccupazione, soprattutto quest’ultima per tutte le persone e bambini che avevo già incontrato senza sapere di essere una mina vagante. (F.M. 27 anni)
  • Quando ho scoperto la positività di mia sorella in realtà non ho provato niente. Ero come impassibile, indifferente. Durante il mio isolamento ho iniziato ad accusare invece, forse non mi rendevo bene conto. Non avevo paura ma mi sono sentita soffocare… Il dover essere super vigili anche in casa propria e con la propria famiglia, dover disinfettare ogni cosa dopo averla toccata, portare le mascherine per tutto il giorno e non potersi godere una serata tutti insieme sul divano appiccicati a guardare la TV, organizzarsi per non mangiare allo stesso tavolo, il dubbio di aver disinfettato quella cosa che stava usando tua madre o tuo padre, l’attesa del tampone, il tampone, i pensieri, quelli tanti, la fatica ad addormentarsi. (M.O. 27 anni)

Adolescenti tra i 12 e i 20 anni

  • Il periodo di isolamento nazionale per me è stato sicuramente ostico, soprattutto per le relazioni con familiari, amici e fidanzata, visto che non c’era la possibilità di vedere queste persone… Quando ho saputo di ciò non mi sono preoccupato, anche perché pensavo che fosse una cosa temporanea e la vedevo più come una piccola “pausa”. La quarantena mi ha aiutato a stare più con me stesso e dedicare del tempo ai miei familiari. Ho visto diversi film, finito parecchie serie e anche parecchi giochi che mi ero lasciato indietro… Tutte cose che mi hanno arricchito culturalmente. Nonostante questo, penso che l’isolamento sia stato una sorta di “punto fermo” nella mia vita, dove tutto si è fermato, e i pensieri negativi hanno prevalso di molto su quelli positivi, tralasciando i vari “andrà tutto bene” che mi sono parsi sempre molto approssimativi. (M.B. 17 anni)
  • Appena ho saputo della quarantena, ero sicura fosse la cosa giusta e quindi lo accettavo… Ma dopo un mese è arrivata la nostalgia di tutto… (L.S. 14 anni)
  • Quando ho saputo che dovevamo rimanere tutti chiusi in casa, ho pensato che sarebbe stata una cosa difficile da affrontare… Ma che sarebbe servita per il mio futuro e quello degli altri. (G.M. 14 anni)
  • L’ isolamento è stato difficile per tutti, io dopo un po’ mi ero abituata, ma devo dire che alla fine di quel periodo era come se stessi impazzendo… Non ne potevo più di vedere solo e soltanto casa mia. (R.F. 14 anni)
  • Quando sono dovuto stare un isolamento all’inizio ero contento solo perché non dovevo andare a scuola, mentre ero triste perché non potevo rivedere i miei amici e parenti per un po’ di tempo. Ma pensavo: “vabbè dai tanto passerà presto.” Più però il tempo passava più avevo nostalgia dei miei amici, dei nonni, degli zii, dei cugini… Le emozioni che provavo erano all’inizio felicità per la pausa dalla scuola, ma più si andava avanti più provavo nostalgia e tristezza. Speriamo che presto riusciremo a riabbracciarci ed a recuperare tutti quei bei momenti di solito provati: feste, giochi, cucù, il piatto ribaltato, tombola ma soprattutto le cene insieme da nonna. (L.B. 12 anni)
  • Quando ho saputo della quarantena inizialmente ero felice di non dover andare a scuola. Poi però dopo qualche giorno si è fatta strada la consapevolezza di dover rinunciare a vedere i propri cari per tanto tempo, ma soprattutto la realizzazione che non avrei potuto finire la scuola e fare la maturità come tutti avevano fatto negli anni passati, dentro la scuola, con i professori e con i compagni di 5 anni lunghi, difficili, ma probabilmente gli anni più belli della mia vita. Oltre a questo, la quarantena mi ha tolto anche la possibilità di continuare a giocare a basket, la mia più grande passione. Non mi ha permesso di finire l’ultima stagione sportiva con la mia squadra, visto che poi mi sono trasferito per l’università. Queste sono state le cose più importanti che la quarantena mi ha tolto… E il solo pensiero mi rendeva le giornate più tristi e vuote di quanto già lo fossero. (D.S. 19 anni)
  • Fortunatamente parlando, ho affrontato in modo positivo il periodo d’isolamento. Mi ha concesso di prendere una pausa per pensare di più a me stessa, nonostante la presenza di vari problemi nella mia normale vita di studente. Ho abbandonato molti progetti e preparati di nuovi, sempre pronta a ricominciare una volta finito l’isolamento. L’allontanamento da amici e conoscenti, per mia fortuna, si è rivelato uno “stimolo” gratificante, cosicché da ricamarmi un piccolo spazio alla cura di passioni e propositi per il futuro. (G.T. 15 anni)
  • All’inizio pensavo che la cosa si sarebbe risolta in poco tempo e sono andato avanti con questa speranza per un po’… Quando ho capito che sarebbe durata parecchio, ho provato grande delusione e ho perso la voglia di fare le cose. Penso che tutto ciò che sta succedendo avrà delle gravi conseguenze a livello sociale. (D.B. 20 anni)
  • Quali sensazioni ho provato quando ho saputo di stare in isolamento? Spero di non essere stata l’unica, ma c’era una parte di me che era incuriosita, quasi sollevata da questa notizia. C’era ovviamente la paura e la tristezza nel non vedere persone a me care, il mio ragazzo, i miei amici.. tuttavia era come se il mondo mi stesse dando un occasione per prendermi tempo per me stessa, infatti, come penso sia stato per tutti, ho avuto un grande cambiamento da prima a dopo la quarantena. Perciò se dovessi esprimermi direi di aver provato, si paura e tristezza, ma anche una sorta di speranza, Ho trovato comunque una piccola parte di positività in tutto quel male. Ad oggi sinceramente direi che un altro po’ di tempo in quarantena per poter concentrarmi su me stessa, lo accetterei volentieri. (M.D.G. 16 anni)

Sanitari e sanitarie, persone impegnate negli ospedali

  • La prima emozione provata appena avuta la notizia “dovrai prestare servizio emergenza in reparto covid perché la situazione è molto grave” è stata: l’ansia, l’ansia di non poter esserne all’altezza, la paura dell’ignoto. A seguire appena messo piede in quel reparto, dopo aver imparato la vestizione/svestizione ed essermi bardata anch’io come i miei colleghi nascosta sotto tutte quelle divise e dispositivi, ho avvertito un senso di forza e di missione inspiegabile. È da lì che si è messa in moto una forza dentro che mi ha permesso di affrontare quelle tragedie e disperazioni (tra una desaturazione drastica, una fame d’aria ed un decesso), che sopravvivere a tutto quel tempo così surreale, diventava l’unico obiettivo. E l’ultimo giorno, dopo aver chiuso quella porta con scritto “zero posti letto covid”, ho pianto di gioia. (B.D. 26 anni)
  • Solitudine, solitudine quella dei pazienti che li hai visti andarsene soli, senza un conforto, senza una mano amica che li sfiorasse nell’ultimo minuto di vita e solitudine quella nel cuore quando ti sentivi impotente di fronte a tutto questo. (V.I. 27 anni)
  • Paura perché ancora non si sapeva niente, non siamo state formate, non c’erano informazioni certe. Ho lavorato al reparto covid da marzo a maggio 2020, poi mi hanno diagnosticato un cancro e non sono più andata a lavoro. Il covid sembrava un mostro invisibile che poteva colpire da un momento all’altro e quando non sai con cosa stai avendo a che fare hai ancora più paura. Solo dopo qualche settimana abbiamo avuto a disposizione più informazioni, piano piano mi sono abituata ed è diventato un lavoro. All’inizio io e le colleghe avevamo paura di respirare in reparto. (D.B. 49 anni)
  • Fondamentalmente tanta paura per i pazienti per i colleghi e paura che potessi ammalarmi, era qualcosa che non conoscevo. Adesso ho ancora paura anche se sono più consapevole dei metodi per proteggermi e proteggere le altre persone. Non siamo state informate abbastanza, i vertici del ministero, dell’ospedale non ci davano informazioni, non siamo state rassicurate, non avevamo abbastanza strumenti per proteggerci e per lavorare bene. (A.V. 44 anni)

  • 5- M’è preso un colpo, andavo a lavorare piangendo. Non sapevamo niente, avevo paura non sapevamo come comportarci, come vestirci, se potevamo stare tranquilli in famiglia. Era una situazione nuova e non sapevamo come comportarci. Adesso mi sento più sicura a lavorare nel reparto covid, però… è stressante, sono molto stanca. (A.M. 48 anni)
  • E’ difficile rendersi davvero conto di quello che abbiamo passato e di come siamo stati trattati. È meglio non pensarci. Presi e buttati in reparto Covid, senza dispositivi di sicurezza, niente formazione, non sapevamo niente. All’inizio non avevamo le mascherine e quindi rompevamo le cuffie chirurgiche o i copriscarpe per usarli come mascherine. Il mio compagno mi portava le mascherine, i guanti e i camici che gli davano a lavoro (lavora per un’azienda farmaceutica) e li davo alle altre colleghe. È stato orribile. Adesso per fortuna sappiamo di più, abbiamo i dispositivi e lavoriamo un pò meglio. (M.M. 57 anni)
  • Ho scelto di diventare medico per riuscire a dare un aiuto al prossimo in maniera significativa, ma mai avrei potuto immaginare di laurearmi a marzo 2020, all’inizio di una pandemia che sono sicura che ha segnato tutte le nostre vite per sempre. Appena mi si è presentata l’occasione di poter rendermi utile in prima linea mi sono fatta avanti senza pensarci due volte, ma la realtà è andata ben oltre le mie aspettative. Il primo giorno ho dovuto combattere contro la mia claustrofobia che, seppur lieve, ha messo a dura prova la fermezza delle mie intenzioni: quando indossi quella tuta, piena di scotch dalla testa ai piedi, che evita all’aria sia di entrare che di uscire e assisti pazienti con quelle maschere, che coprono le loro facce e sono l’unico mezzo con cui riescono a saziare la loro fame d’aria, sembra che il fiato manchi a te quanto loro. Ma poi ci si fa l’abitudine, quello a cui non ci si abitua è quando visiti un paziente che apparentemente non sta troppo malconcio, ti parla, ti chiede quanto tempo ci vorrà ad uscire da lì perché a casa lo aspettano, poi vedi la tac del torace ed è tutta bianca e ti chiedi come possa ancora respirare o parlare e la risposta ti arriva inesorabilmente non troppi giorni dopo: non ce la fa. E lo vedi annaspare nei giorni successivi fino a che non riesce neppure a restare più sveglio, è debole e confuso e alla fine se ne va, con la famiglia che lo aspettava a casa perché “quando è entrato non stava poi così male”. Non tutti per fortuna non ce la fanno ma non bastano 10 pazienti guariti per cancellare dalla tua testa il pianto straziante di quella figlia che ha perso il padre o di quel nipote che ha perso la sua nonna. (F.V. 27 anni)

Anziani ed anziane

  • Eh niente, ho pensato subito che non sarei potuta stare con i miei nipoti… Che è la cosa più grande. Ho pensato a tutti gli anziani che stanno soli… Che sono le persone più a rischio… E niente ho detto “speriamo che passa subito…se no qua è la fine!! Ecco!” (L.B. 78 anni)
  • Mi sono sentito come un “papò” (dialetto), che significa che stavo dentro casa e non facevo niente! Io mi sono sentito un po’ preoccupato, preoccupato perché si parlava di stare spesso dentro casa e purtroppo quando si fa una quarantena non puoi uscire, oppure ti devi portare la mascherina, ecc… E’ stato un dramma proprio, perché non uscivi, non c’avevo da scambiare una parola con qualcuno… è un mortorio, un mortorio… E poi ancora continua, si allunga e non si sa quando finisce… Quello è importante, che mette paura. Purtroppo ci sono delle persone che non riescono a fare, diciamo quello che devono fare… Eh, vanno fuori, non hanno la mascherina, vanno a fare i balli, vanno a fare tutte ste cose, quindi non andiamo avanti così… E ci sta veramente da non scherzare. (A.B. 84 anni)
  • Eh come mi sono sentita… Non m è piaciuto!!! Capito? Le cose non andavano bene… Non sono potuta mai venire a casa tua (riferito alla nipote), tua mamma mi è dovuta rimanere lontana… Non potevo nemmeno uscire fuori da sola, capito? Eh… Non sono mai potuta venire a casa vostra… Per uscire a buttare l’umido o l’immondizia ti devi mettere la mascherina, non stai libera… Prima facevo quel giretto, passavo di là o passavo di qua e poi tornavo a casa… Adesso nemmeno quello posso fare. Oggi volevo uscire, poi mi sono detta “lasciamo perdere va… Che a quando mi preparo…” (D.D.P. 90 anni)
  • “Eh beh… Niente! Tanto io stavo dentro casa come sempre pure prima… Non mi è cambiato niente, non ho pensato nemmeno tanto alla paura sinceramente!” (V.D.A. 79 anni)
  • “Eh… Prima andavo al mercato tutti i giovedì, mi manca il mercato. Alla messa ci andavo tutte le domeniche, sempre!!! Ho avuto un po’ paura, ma noi non siamo usciti mai… Insomma, dopo invece questi (nipoti che vivono con loro) vanno sempre in giro perché lavorano, ci devono andare sempre… Devono uscire per forza… Ma io in un anno sarò uscita 10 volte a dire tanto, due volte sono andata a farmi i capelli!!!” (F.G. 78 anni)
  • “Personalmente la pandemia non mi ha coinvolto troppo, fortunatamente ho sempre avuto mia figlia che poteva venirmi a trovare e a farmi la spesa. Generalmente esco poco però ogni mattina appena sveglia mi preparavo come se dovessi uscire, con collane, make-up e bei vestiti. In fondo ci si deve sentire bene prima con se stessi, io un tetto caldo dove stare lo avevo. Data la mia età, ho ricordato la seconda guerra mondiale a Napoli, quella è stata una vera tragedia per me. Non ho mai avuto paura de Covid e della solitudine, ma ora non vedo l’ora di farmi il vaccino che ho già prenotato. Credo fermamente nella ricerca e nella medicina!” (M.C. 87 anni)
  • “Io c’ho quasi 92 anni, ne ho passate tante: la guerra, la fame, ma questa volta proprio mi ha messa k.o., è una cosa tremenda! Non lo so… A me la gioventù fa pena. Che racconterà? Che si mette a fare? È brutto così, dentro casa. La gioventù tienila un po’ dentro casa! A me piaceva tanto ballare, fare Carnevale e andavo a ballare e andavo a fa’ la passeggiata co’ le amiche…questa è una cosa bruttissima!” (I.M. 92 anni)
  • “Eh… Che ti devo dire, questo di adesso è peggio della guerra! Almeno in guerra ti potevi nascondere, qui non puoi andare da nessuna parte…” (E.S. 91 anni)
  • “Io ti posso dire che mi ricorderò per sempre delle infermiere e degli infermieri, giovani… Che stavano sempre vicino a noi… Quando ero ricoverato, durante quelle giornate in cui sentivo anche lamentarsi e soffrire le persone vicino a me, non solo anziani… Anche un ragazzo di 30 anni c’era… Gli infermieri e le infermiere ci stavano vicino, ci davano tanto coraggio sedute vicino a noi…” (P.M. 86 anni)
  • “Mi sono sentita normale, non mi rendevo ancora conto. Poi le cose sono peggiorate ed è arrivata la paura. Secondo me gli anziani non è vero che sono i più deboli, sono i più forti!!” (O.P. 93 anni)

Insegnanti

  • Non è facile esternare i vari stati d’animo che ci assalgono in questo periodo, ci proverò. Io insegno in una scuola dell’infanzia. Lavorare in questo periodo ovviamente non è facile con tutte le restrizioni e i vari protocolli da rispettare ma si fa lo stesso con entusiasmo, pensando all’importanza della scuola per i nostri piccoli alunni, gli unici momenti di socialità che hanno in questo periodo. Io sono abbastanza tranquilla e serena ma sempre un pò in tensione (l’ultima proprio oggi… Ho saputo che la nonna di un bambino è positiva). Altri bimbi hanno avuto lutti in famiglia causa Covid. Quindi si prova a vivere quotidianamente in serenità ma sempre in tensione… Con la consapevolezza che da un momento all’altro si possa essere contagiati. (L.M. 53 anni)
  • Mi sento molto molto triste, perché non posso continuare con il mio normale quotidiano… Nonostante, c’è da dirlo, il tanto stress che questo lavoro può comportare, c’è sempre modo per godersi il proprio tempo libero, anche semplicemente vedere i propri amici, andare in un bar, stare insieme. Ecco ora tutto ciò non è possibile, o comunque c’è costantemente la paura di mettere te o altri in pericolo. Ora tutte le scuole sono chiuse… Ok sì per mettere tutti in sicurezza, ma gli effetti secondari non mancheranno. Da febbraio ho iniziato a lavorare in una nuova scuola, perciò non ho avuto la possibilità di conoscere le mie classi di studenti. E’ difficile insegnare qualcosa agli alunni senza potersi relazionare con loro. In più, ci sono molti che soffrono psicologicamente e non hanno la capacità di sforzarsi maggiormente… Hanno perso un anno della loro infanzia o gioventù, per mancanza di contatti sociali. Per carità, io mi sento fortunata, vivo in Germania e il sistema sanitario funziona bene. In più essere professoressa è come un privilegio ora, perché posso ancora lavorare, mantenermi e comunque sentire i miei alunni. Mi sono resa conto di quanto mi piaccia, quanto sia importante la mia vita quotidiana, la mia professione… Spero di tornare alla normalità il più presto possibile. (J.R. 26 anni)
  • Con questa situazione ancora in atto, non riesco a sentirmi bene, per niente. Ho iniziato da pochissimo a lavorare come insegnante, perciò non sono ancora riuscita a mettere in pratica una professione per la quale ho studiato, dal vivo. Ho soltanto lavorato online, che non è comparabile con la relazione che si instaura con gli alunni di persona… Ho molta paura, temo di non riuscire ad essere una buona insegnante, mi sento molto stressata e triste. (M.R. 26 anni)
  • Come professoressa, durante tutto questo periodo, sento moltissimo la mancanza del contatto con i miei alunni… Le lezioni vanno avanti con la didattica a distanza e i lavori individuali degli studenti, però manca tutto della comunicazione e del rapporto di persona. Diciamo che riusciamo tutto sommato a comprenderci, anche nella relazione tra colleghi… Alla fine, tutti noi professori ci troviamo nella stessa situazione e dobbiamo cercare di farci forza e rimanere uniti insieme. (N.O. 26 anni)
  • In quest’anno scolastico ho avuto la fortuna di lavorare quasi sempre in presenza; i problemi maggiori sono emersi nel primo lockdown, durante il quale la motivazione nei confronti del mio lavoro è calata. Al ritorno a scuola a settembre mi sono sentito più timido e più chiuso, un po’ impacciato come se fosse il mio primo giorno di lavoro… (G.A. 29 anni)
  • Dal mio punto di vista, contrariamente a quel che si possa pensare, non è stato semplice.
    Non è stato semplice non poter comunicare ai bambini la chiusura improvvisa, non è stato semplice non vederli per così tanti giorni pensandoli annoiati e anche un po’ impauriti nelle loro case.
    Non è stato facile reinventare un nuovo modo di far scuola nel giro di qualche mese, fornire tutti gli studenti dei mezzi appropriati, preparare materiale digitale e conoscere nuove tecnologie mai sperimentate prima. Non è stato semplice aver bambini che non riuscivo a contattare, che non avevano mezzi per svolgere una didattica online. Non è stato semplice non aver orari, non aver giorni, non avere spazi. Tante cose per me non sono state facili in quei mesi lontani da scuola e tante altre non lo sono state tornandoci ma una cosa è certa: la scuola tra i banchi ha tutto un altro sapore. A ottobre una bambina mi disse: “Maestra lo sai che dagli occhi si vede comunque che stai sorridendo?” Per quanto mi riguarda, è racchiuso in questa frase il significato e l’importanza dell’essere in classe, anche se dobbiamo indossare fastidiose mascherine. Questi mesi tra i banchi di scuola mi han permesso di conoscere ancor di più i bambini e di comprenderli anche solo da uno sguardo. (A.G. 22 anni)
  • Sono un’insegnante di sostegno alla scuola dell’infanzia. È bello vedere i volti liberi e spontanei, ma è angosciante sapere a che rischio si è esposti. Ed è molto triste non sapere fino a quando non si riprenderà a stare tutti assieme, soprattutto considerato quanto sia fondamentale e destabilizzante per loro… (A.M. 26 anni)
  • In questi mesi sono riuscita a sentirmi fortunata perché, seppur precaria, ho un lavoro che copre la maggior parte dell’anno e in modalità a distanza c’è da lavorare tanto di più. Quello che però mi fa rabbia è questa chiusura insensata delle scuole, non siamo riusciti ad organizzarci per il rientro a scuola dopo le vacanze estive con i trasporti e tantomeno con i banchi a rotelle che hanno una funzione diversa da quella “anticovid” cui sono stati associati. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di tornare a vivere normalmente, stanno perdendo interesse per ogni minima cosa. (L.C. 29 anni)
  • Da settembre, ogni volta che andavo a scuola l’emozione che maggiormente avevo era la paura, ero terrorizzata dal fatto di poter in qualche modo contrarre il virus e portarlo ai mie famigliari. Fortunatamente, anche grazie alla forza di volontà che vedevo nello sguardo dei miei ragazzi, piano piano la paura si è assopita trasformandosi in coraggio, il quale mi ha spinta a trovare dentro me nuovi stimoli per andare avanti e svolgere il mio lavoro come avevo sempre fatto. Per questo devo ringraziare i miei ragazzi perché è grazie a loro che sono riuscita e riesco tuttora ad andare avanti. (S.P. 31 anni)
  • In questo ultimo anno insegnare è diventato molto difficile soprattutto per un docente di musica dove la teoria e la storia non bastano! Quindi è stato di vitale importanza reinventarsi con nuovi metodi, nuove tecnologie, questo mi fa pensare che ogni docente e ogni alunno sono sempre pronti a mettercela tutta e a portare avanti la cultura. Il Covid finirà, la cultura non finirà mai… (G.M. 29 anni)

Guide turistiche

  • Quando è iniziato il lockdown ho provato una sensazione di paura, per l’incertezza del futuro. Ero frustrata perché lontana dal mio compagno, ma ho cercato di essere positiva occupandomi di diverse cose. Così mi sono dedicata alla realizzazione del sito del mio progetto e ho studiato per poterlo far crescere e conoscere. Mi sono sentita spesso stana, ma anche speranzosa per il futuro. Il mio lavoro è fermo, sto cercando di portare la “pagnotta” a casa con un secondo lavoro (Il mio piano B, per cui sono comunque qualificata) e mi sto concentrando sul progetto della mia vita, che si chiama “ArcheoRunning”: un’idea nata da una scommessa, da un’intuizione e soprattutto, dall’unione di due passioni, ovvero la corsa e l’arte. L’obiettivo è offrire walking tour o running tour privati, attraverso la preparazione di una guida turistica che è anche preparatrice fisica CONI e tecnica FIDAL. (I.C. 40 anni)
  • Le prime chiusure di marzo 2020 generarono in me un duplice sentimento: da una parte un senso di protezione relativamente ad una minaccia che si palesava pericolosa e sconosciuta, dall’altra l’incredulità verso una condizione catastrofica surreale, che sapeva di un lontano passato pestilenziale e che si trasformava repentinamente in realtà. I ritmi tremendi a cui eravamo abituati fino a quel momento tuttavia mi fecero apprezzare un momento di riposo, benché forzato e non sereno. Il tempo e l’inettitudine della politica hanno poi cambiato la prospettiva. Se da un lato il clima generale con l’estate era quello di lasciar correre e godersi la ritrovata leggerezza, dall’altro c’era la consapevolezza di non aver risolto, di essere come in un lungo martedì grasso che sarebbe inevitabilmente terminato con l’alba delle Ceneri. Questo quadro, intimamente tratteggiato, ebbe la sua conferma in autunno, quando gli effetti devastanti di un’irresponsabilità che, devo dire, è soprattutto della classe politica, sono piombati nelle nostre vite. La lacerazione dei rapporti sociali, l’assenza di vita culturale, l’altalena della scuola, la perdita del lavoro, il temporeggiare senza agire praticamente e la vita che passa che nessuno ci restituirà. Voglio ancora sperare che il rinnovamento che inevitabilmente ci sarà ci farà costruire qualcosa di migliore. (R.D.G. 40 anni)
  • Essere guida turistica nella nostra città è più una passione che un lavoro. Se non ci sono altri introiti, difficilmente si riesce a tirar fuori uno stipendio decente. Ascoli non è Roma o Firenze. Da noi arrivano soprattutto gruppi di anziani e col Covid sono stati quelli più “a rischio”. Alcune guide hanno partita Iva e quindi lo considerano lavoro principale. Sono quelli che hanno sofferto maggiormente questa situazione. Gli aiuti sono stati pochissimi. La maggior parte di noi ha un’altra occupazione e lavora a “prestazione occasionale”. Sono comunque entrate che aiutano notevolmente, con 4/5 gruppi al mese si arrotonda bene. Da “giovane pensionato” della scuola, ho impiegato questo forzato stop di gruppi preparando nuovi itinerari, sia cittadini (magari tematici, così da incuriosire gli ascolani stessi) che extra urbani. Ci sono belle alternative al percorso cittadino. Per questo ho approfittato per studiare e diventare guida escursionistica ambientale! Il covid ha obbligato tutti a modificare stile di vita. Essendo pensionato (quindi niente Didattica a Distanza!!!) ho avuto tempo per approfondire aspetti relativi alla storia, all’arte, agli ambienti naturali, in modo da farli scoprire, in un futuro “normale”, a gruppi turistici, certo, ma anche -gratuitamente- ad amici, ex colleghe, associazioni, gruppi di bambini, giovani… Faccio parte, infatti, di un’associazione che fa varie iniziative. Stiamo collaborando col Fai, che anche in periodo Covid, ha organizzato giornate primavera/autunno (Albero del Piccioni, percorso Mozzano-Tronzano, antiche Saline, ecc.). Non sto fermo, anche perché fino adesso sono stato fortunato, nessun problema di salute, nessun contagio. Speriamo continui…!!! (G.C. 66 anni)
  • Durante il lockdown, all’inizio ho sentito paura, 5 giorni dopo dovevo prendere un volo per la Spagna per vedere la famiglia e hanno iniziato a chiudere le frontiere. La paura di non sapere se potessi tornare, quando vedere la mia famiglia è stata molto pesante… Per fortuna è durata una settimana perché poi mi sono tranquillizzata e focalizzata sul pensare positivo e cercare di approfittare del periodo per prendermi cura di me su diversi punti di vista, qualcosa che volevo fare da tempo ma non trovavo mai, proprio quello, il tempo per farlo: Il lockdown mi ha obbligato. I primi mesi le mie emozioni sono state varie… Paura, non capire cosa poteva succedere, quando potessi rivedere la famiglia, insomma preoccupazione. Pian piano mi sono rilassata, focalizzando tutta la mia energia sul trovare cose che mi facessero sentire bene, come lo sport… E le emozioni sono cambiate, fino ad uno stato più sereno. Lavoro nel turismo come guida per cui è stato molto duro accettare che avevo perso il lavoro e che, non so quando, potrò ricominciare a lavorare normalmente… E’ stato frustrante arrivare ad una instabilità economica così forte, non me lo aspettavo e sono stati mesi difficili. Per fortuna adesso, dopo quasi un anno, inizio a vedere la luce facendo un altro lavoro, in attesa della ripresa del turismo. (V.C. 34 anni)
  • Ricordo con esattezza la sensazione provata nel momento in cui mi sono state chiare le limitazioni del lockdown: i primi giorni sono stati i più difficili, la mia famiglia non era nella mia stessa città e temevo che non avrei potuto rivederla. Ho provato un vero e proprio senso di panico, di sicuro attenuato in un secondo momento grazie ad un ricongiungimento con loro. Durante quest’anno le mie emozioni e i miei stati d’animo hanno fatto un giro sulle montagne russe. Ci sono stati momenti in cui mi sentivo in grado di organizzare bene le mie giornate, di concentrarmi sullo studio o vari progetti, altre in cui la sensazione di vuoto era più intensa. La mancanza di lavoro, con il passare dei mesi, ha reso la situazione economica ed emotiva più difficoltosa. Oggi mi sembra di non essere più in attesa, ma in una situazione ormai cristallizzata. Tra gli aspetti positivi di questo periodo c’è il legame e il sostegno che si è intrecciato con alcune amiche e amici. Anche se il mio lavoro di guida turistica è stato completamente stravolto, mi è sembrata una possibilità per scoprire nuovi angoli di Roma (città dove vivo), per iniziare collaborazioni e pensare ad un servizio culturale rivolto agli abitanti della città e non solo ai turisti. (A.D.B. 38 anni)

Bambini e bambine

  • Mi piace di più andare a scuola. Mi mancano i compagni. Il covid è brutto. (G.R. 9 anni)
  • Mi sono sentita male perché non uscire e non vedere i miei amici mi rende triste. Ho pianto quando ho saputo che non potevo più andare a scuola perché mi manca giocare con i miei compagni. Mi sento triste e sola. (V.M. 11 anni)
  • Io voglio stare a casa, a casa con i miei giochi va bene. Mi piace giocare a casa, così ho tutti i miei giochi. (R.B. 4 anni)
  • Quando ho saputo di dover rimanere a casa ho provato molta tristezza perché non avrei potuto vedere i miei amici. Adesso è meglio di prima, però sono sempre triste, anche se meno perché comunque posso uscire di casa e andare a scuola. (S.C. 10 anni)
  • Sono triste quando il coronavirus fa chiudere l’asilo per proteggerci dal virus, in quei giorni mi mancano gli amichetti, le dade, i giochi insieme, il riposino pomeridiano e il momento del pranzo. Poi di questo periodo non mi piace che non posso stare dai nonni più tempo… Che non possono venire loro e che non possiamo andare a trovarli! E poi mi manca la piscina e gli spettacoli… Ti ricordi quando siamo andati al cinema a vedere Pinocchio?!?che bello!!! Sono contento quando viene qualcuno a casa a trovarci, quando abbiamo fatto le tombole al computer a Natale… (F.B. 4 anni)
  • La cosa più fastidiosa di questo periodo è indossare sempre e per tutto il giorno la mascherina… A scuola, al parco, con gli amici al catechismo… La mette alle 8 e la tolgo la sera quando torno a casa! Mi manca poter andare dai nonni quando voglio senza paura di essere fermato dalla polizia e il poter invitare qualche amico a casa senza problemi… (L.B. 9 anni)
  • Non mi piace il covid perché quando avevo la febbre ho dovuto fare il tampone, invece l’anno scorso e quello passato non l’ho mai fatto. Io preferisco andare a scuola che stare a casa con mamma o papà… Però adesso sono più contento perché il Covid tra poco finisce!!! (M.M. 8 anni)
  • Non mi piace il covid per il tampone… E perché non posso fare le feste… E poi voglio andare all’asilo. (L.M. 4 anni)
  • Ci manca stare insieme liberi al parco senza mascherina, fare sport di squadra… In palestra con lo spogliatoio. Anche la ricreazione a scuola insieme a giocare e non seduti ognuno al proprio posto, poter organizzare una festa per il compleanno con gli amici… (gruppetto di 4 bambini tra gli 8 e i 9 anni)
  • Il Coronavirus… è un maledetto! Perché fa ammalare tutte le persone!!! (F.B. 4 anni)
  • Io gli sto lontano al Coronavirus… (G.S. 4 anni)
  • Il virus è come una persona, che ci fa ammalare tutti. (M.V. 4 anni)
  • Questo virus è come una palletta, che se gli altri non si puliscono le mani, dopo si ammalano… (A.R. 4 anni)
  • C’è il coronavirus… Ci laviamo le mani sempre… Ci mettiamo le mascherine! (G.G. 3 anni)
  • Il Coronavirus è una palla con una specie di fiori intorno…che ci fa ammalare. (L.N. 3 anni)
  • Se ci ammaliamo… Tipo si fa il tampone, per vedere se c’è il mostriciattolo o dentro la bocca o dentro agli occhi!! (A.C. 3 anni)
  • Il tampone si fa con una specie di bastoncino sul naso, poi si spalanca la bocca e si caccia la lingua!! (L.M. 3 anni)
  • Allora… Se ci sta il virus non si può uscire più di casa… Allora io al virus gli dico che lo lascio da solo su alla montagna, lo lasciamo su!!! (M.P. 5 anni)
  • Vattene via Coronavirus!! (C.M. 5 anni)
  • Non possiamo uscire perché non possiamo andare dai nonni, io c’ho due nonni e due nonne, che stavano troppo lontani… Io non ci posso andare mai…Pero quando finisce il Covid posso andarci… I miei nonni stanno molto molto lontani, a Roma!!! (A.T. 5 anni)
  • Covid vai via!!! Vuoi infettare la scuola, ma non puoi!!! Non puoi…Perché c’hai la corona in testa ma a me non me ne frega niente, non è divertente!!! (N.P. 5 anni)
  • Quando stavo a casa, mi annoiavo, volevo andare a scuola… al virus gli dico che è cattivo!!! (L.C. 5 anni)
  • A me mancavano tanto i compagni e la scuola… Il virus deve andare via… (S.S. 5 anni)
  • Il Covid non è bello, perché fa ammalare a tutti, anche a ma cugina, me, mamma, nonno… tutti!!! E’ brutto, non può restare con noi, se ne deve andare!! (J.D.B. 5 anni)
  • Coronavirus vattene via!!! (N.G. 5 anni)
  • Coronavirus vattene a comprare il gelato, che se no ti sparo con il lancia razzi e ti distruggo la luna!!! (C.B. 5 anni)
  • Io preferivo come si faceva prima del Covid… perché per uscire niente mascherina, potevi andare dai tuoi amici, ecc… Mi sento bene però con la mascherina, sempre…!!! E’ bello non andare a scuola però, posso fare un’ora al giorno di studio!! (M.M. 8 anni)
  • Questi ultimi mesi vanno male, primo perché c’è il Covid e secondo perché non posso giocare. Indossare 8 ore al giorno la mascherina è brutto. Prima del Covid andavo a scuola senza mascherina, visto che è una scuola Montessori usavamo tanti materiali che potevamo toccare, adesso no. Facevamo pranzo… Andavamo fuori in giardino, e non c’erano quelle cose che dividevano il giardino… Prima andavo al parco, poi a volte facevo anche karate, poi suonavo la batteria, e non in video lezione, in presenza! Ora torno a casa e devo riordinare la camera… poi gioco ai videogiochi anche se ora mia madre me li ha tolti per un po’ !!! Voglio la normalità… Non posso andare a casa dei miei amici normalmente, però adesso una volta ci sono riandato, vabbè! (S.G. 10 anni)
  • Mi piace di più quando non c’era il covid, perché stavo con gli amici e potevo abbracciare tutti, potevo anche andare in giro. Faccio un corso al pc, si chiama “Racconti al pc”, è un corso bellissimo che vorrei fare per sempre. Gli ultimi mesi vanno benissimo! (E.M. 7 anni)

Persone impegnate nell’arte

  • L’ultimo periodo, è stato un evento storico, per cui penso che per persone sensibili, come gli artisti, una lista di sensazioni ed emozioni, penso… Sia quasi limitata. Io ho provato di tutto in questo periodo. E tutto molto violentemente, anche le situazioni, anche le cose belle, perché me ne sono capitate di cose belle fortunatamente, e anche nel mio lavoro come artista… Però erano comunque forti, emozioni molto forti. Ho sviluppato una facilità a commuovermi che quasi veramente, pietosa, a volte imbarazzante, perché mi emoziono con una parola detta magari con un particolare sentimento… Proprio piango. Per cui, diciamo che questa pandemia, personalmente mi ha tolto tanto, ma mi ha regalato molto i più. Mi ha regalato persone stupende, mi ha regalato una visione diversa delle cose, una particolare attenzione allo studio, alla scrittura, alla meditazione… Prima della pandemia non avevo tempo, essendo anche moglie e madre… E voglio essere una brava madre, una brava moglie e una brava attrice. Quindi emozioni a gogo… Rabbia, frustrazione, però anche soddisfazione, gioia…Nello scoprire cose o nel riuscire a fare delle cose nonostante si fosse in pandemia, va bene però, fondamentalmente sì, gioia e dolore. Però più gioia, se devo fare un calcolo, molte più gioie! Il mio lavoro, pur non avendolo effettivamente più fatto, cioè non avendo più avuto la possibilità di esibirmi di fronte ad un pubblico che è la base del mio lavoro, non solo quando faccio teatro, ma anche quando faccio laboratori di lettura, di teatro, di dizione… Il rapporto umano diretto, il contatto fisico costante con le persone, con gli altri, poi in una dimensione in cui si cerca di fare qualcosa di bello… L’idea quando tu vai a fare uno spettacolo o fai un laboratorio è cercare di emozionare chi ti sta dedicando del tempo, per cui… L’altra cosa è, il fatto che in quelle poche rarissime occasioni in cui ci sono stati degli spiragli, e mi è stata data la possibilità di riproporre qualcosa al pubblico come spettacolo dal vivo, è stata un’emozione fortissima, bellissima, che m ha fatto convincere sempre di più, che io devo continuare a farlo questo lavoro! Anche se, non ci nascondiamo dietro un dito, non è per niente facile, non è assolutamente facile. Secondo me adesso si vedrà veramente di che pasta siamo fatti. Chi, di questo lavoro ci vive, ma non soltanto economicamente, ma anche proprio per passione, per esperienza, per tante cose, vediamo se ce la fa… E’ una selezione questa pandemia, anche a livello artistico, a mio avviso. Si salveranno i migliori? No, non detto. Si salverà chi non solo ha le spalle coperte economicamente, poco ma sicuro, ma anche chi per tenacia, passione, dedizione, non molla. Eh… E io faccio parte di questa categoria. (C.C. 52 anni – Attrice di teatro, conduttrice di laboratori di lettura e dizione)
  • Mi sono sentita poco considerata, frustrata perché impossibilitata a perseguire obiettivi, costretta a smontare piani in continuazione. Un saliscendi emotivo da far girare la testa. Col tempo, soprattutto nell’ultimo periodo, ho iniziato ad andare secondo i tempi, sezionando lavoro, dando priorità al mio benessere psicofisico. So sicuramente meglio chi sono, cosa voglio e dove sto andando. Ho deciso di essere più disponibile e vulnerabile a ciò che mi accade. Al mondo dello spettacolo è capitata una catastrofe, non tanto perchè sia successo qualcosa di nuovo quanto che sia crollata tutta la costruzione instabile in cui si teneva. Per fortuna direi. Bisogna ripartire da diritti e garanzie subito! (C.S. 29 – Attrice e insegnante di teatro).
  • Non posso lamentarmi perché il mio settore non si è fermato nemmeno un giorno, ma dopo un anno e mezzo a guardare lo schermo e il muro dietro senza poter parlare con nessuno mi è venuta una gran tristezza. (V.M. 26 – Animatrice Digitale)
  • Negli ultimi mesi, mi sono sentito demotivato. L’impossibilità di svolgere concerti e le numerose incertezze sul futuro mi hanno lasciato in uno stato di attesa in cui ho perso molto dello spirito creativo che contraddistingue la mia professione. La sensazione è che la pandemia mi abbia fatto perdere contatto con la musica, ma anche con l’arte in generale. Sento che qualora ci fossero le condizioni ideali per ripartire con la vita di tutti i giorni, dovrò colmare questa distanza tra me e la mia professione. (A.C. 29 anni – Musicista)
  • Mi sono sentita una specie di ricercatrice, sono andata alla ricerca di qualcosa da fare, ho cercato alternative, ho cercato modi per tenermi in allenamento, modi per studiare, ho cercato di rimanere a galla. In mezzo ad un oceano senza prospettive di isole o porti sicuri!!! Speriamo di non annegare del tutto! (A.D. 28 anni – Performer di Musical)
  • Gli ultimi mesi sono stati pervasi da tristezza, sofferenza e preoccupazione, stavano per impadronirsi di me; tutte le incertezze della vita si sono fuse nella parola pandemia, tutte le spinte vitali implodevano tra le mura domestiche… Mi sono sentita impotente, preoccupata e sopraffatta, mi mancavano i bambini e il mio lavoro di maestra, una parte importante per la mia felicità. Il lavoro che amo è fondamentale per la mia dimensione artistica: a scuola con i bimbi riesco a sfogare tutti gli impulsi creativi, il rapporto con loro è per me fonte di energia gioiosa e vitale. La pandemia ha spezzato tutto questo. Ho reagito, lavorato tantissimo e trovato strategie digitali, ma mi sentivo comunque incompleta, mancante di un pezzo importante. Infine la musica… Sento ancora come qualcosa di incompleto, una mancanza che spegne anche la volontà di reagire a volte… Non è il mio lavoro principale, ma fa parte di me, cantare è una mia necessità fisica ed emotiva, mi sento incompleta ed impotente. La scorsa estate abbiamo fatto pochissime serate, le ho vissute come un dono… Ma al tempo stesso la paura incombente del Covid ha cambiato lo stato d’animo, ogni live consentito si vive tra gioia e paura. Se sento suonare uno strumento dal vivo ora come ora mi commuovo. Sono diventata più sensibile ed emotiva, sono stata per molto tempo avvolta dalla tristezza. Ho reagito, ma non so per quanto ancora io riesca a tenere duro. (E.R. 40 anni – Maestra di infanzia e cantante delle Diviniles e di AmandAcustica)
  • Sono abbastanza provato come tutti… Non sono stato con le mani in mano, ho collaborato con diverse scuole nei miei progetti di letteratura e musica e come cantafavole per i bambini. Detto ciò, sicuramente le istituzioni italiane non ci sono state vicino, ci hanno, diciamo così, emarginati e abbandonati… Questo bisogna dirlo. Il mio rapporto con l’arte comunque non si è scalfito di una virgola, perché ho avuto anche più tempo per raccogliermi e continuare a produrre. Sto preparando il mio nuovo disco, “Letteratura e musica”, che è un progetto per le scuole che ha un intento importante: quello di avvicinare le nuove generazioni alla lettura e alla letteratura, perché come sosteneva proprio Gianni Rodari, bisogna leggere soprattutto per non essere più schiavi, non tanto per essere deletterati. Detto ciò, mi auguro che quest’estate ci possa essere una bella riapertura e si possa tornare a portare le favole, le canzoni, le poesie, tutte le cose belle che abbiamo dentro. (G.R. 45 anni – Cantautore, cantafavole, regista)
  • Riguardo al Covid, negli ultimi mesi sono stato abbastanza di merda ma più che altro perché percepisco ovviamente un blocco collettivo non perché io sia messo particolarmente peggio del solito. Ugualmente per me di base nel rapporto “intimo” con l’arte non è cambiato molto, è sempre un’ottima terapia e rimane quel rapporto di amore odio di sempre, invece nel senso più “pubblico”, cioè dell’arte come interesse collettivo, mi sento molto più insicuro di prima. (M.B. 26 anni – Cantante e musicista)
  • Sono svuotato, un po’ perso e immobile. Nel mio caso ho trovato un po di sollievo nella fotografia continuando ad usare la musica come contorno! (T.D. 30 anni – Musicista e fotografo)
  • Mi sento ansioso e insicuro da una parte, ma concentrato e forte dall’altra. Un periodo di fermo per quanto può essere nocivo per l’economia, può essere una rinascita per la cura della persona e per la pianificazione del proprio futuro. (A.G. 26 anni – Musicista)
  • Precario e abbandonato, una categoria, quella degli artisti, già ridotta all’osso, questa è stata la botta finale. È venuto fuori quanto poco interesse ci sia da parte dello stato nel confronti dell’arte. (F. F. 42 anni – Musicista e cuoco)
  • Mi sono sentita sfortunata in quanto italiana. Mi sono aggrappata ai vari secondi lavori che ho per tirare avanti e osservare la totale noncuranza dimostrata dagli organismi preposti alla salvaguardia del nostro patrimonio artistico e culturale nei confronti di tutta la nostra categoria. Ho continuato a scrivere brani nuovi seppur consapevole delle numerosissime chiusure di locali che ospitano musica dal vivo in tutta Italia. Nemmeno a loro sono arrivati sostegni da parte dello Stato. Continuare a scrivere musica in un paese che non tutela musicisti e locali per la musica dal vivo mi è sembrato infinitamente triste e purtroppo niente affatto eroico. (F. P. 42 anni – Cantante e modella)
  • Debole, fragile, incontrollabile. Così è come mi sono sentita. Incapace di reagire, di trovare soluzioni, di reinventarmi e cercare un’altra me. Stanca. Con la voglia di amare ancora questo lavoro, ma paura a restare. A fidarsi. A buttarsi. Insicurezze. (G.G. 24 anni – Musical Performer)
  • Beh stati d’animo negli ultimi mesi sono stati diversi, in quanto non si è più abituati alla normalità… Cioè, noi sì, lavoriamo con la musica, però io, per lo meno la mia realtà (realtà che si trova nella città di Ascoli Piceno) è una goccia nell’oceano… Non siamo Laura Pausini o Vasco Rossi, per quanto magari sia stato difficile anche per loro e per tutte le persone che ci lavorano dietro. Però è questa cosa di non sentirsi più partecipi, attivi, di una vita normale, una vita normale da musicista. Se prima magari in un anno, o meglio in un mese, si facevano due o tre serate al pub, guadagnando quei 50 euro e ci si faceva una birra, adesso non si ha neanche più quello. E questo è davvero molto triste, è triste perché è brutto ed è anche difficile ritrovarsi a suonare una canzone o cantarla davanti a un telefonino, una telecamera, davanti allo streaming in sé. Non avere più il contatto col pubblico, per quanto poco che sia… Non è facile, non è stato facile e non lo sarà ancora per un po’… Questa è la preoccupazione più grande. Però si va avanti, comunque le passioni vanno coltivate, l’arte va coltivata. L’arte va sempre e comunque coltivata, perché è un bene comune, un bene di tutti, un bene dell’umanità. Quindi, speriamo in un futuro migliore… Teniamoci in allenamento per quando si riapriranno le possibilità per suonare. (L.R. “Rannla” 38 anni – Cantautore e musicista)

Persone che lavorano nei supermercati

  • Situazione strana, surreale. Gesti abituali sono diventati assolutamente vietati: allacciare i capelli, grattarsi un occhio, o anche schiacciare quel piccolo brufolo che ti tormenta il viso (fissa personale). E al contempo mascherina guanti e visiera che sono entrati di forza a far parte della divisa da lavoro. Fin qui solo fastidi fisici diciamo che, per quanto sembrino irrisori, hanno il loro grande potere snervante. Oltre questo aggiungiamo la psicosi del momento, il dover ascoltare tranquillizzare spiegare richiamare aiutare continuamente la clientela. Ripetere fino allo sfinimento “rispettate il distanziamento”, “indossi correttamente la mascherina”, “potete gentilmente indossare i guanti al reparto ortofrutta (cosa peraltro già obbligatoria da prima del covid)”. Diciamo che con i nervi sempre più tirati e a fior di pelle è stato davvero difficile relazionarsi in maniera rilassata e gentile con clienti e colleghi. Tornare a casa facendo attenzione a non toccare nulla se non prima di essermi tolta i vestiti e disinfettata le mani era l’unico modo per cercare di “non portare il virus dentro”. In sintesi questo periodo mi sta lasciando una quantità infinita di stress, “disprezzo” verso chi non mostra comprensione, pazienza e tantomeno rispetto per chi grazie al suo lavoro sta soddisfando un tuo bisogno. Ma sono diventata consapevole di avere una pazienza molto più grande di quella che credevo e che la solidarietà tra colleghi, il supportarsi, capire il momento di difficoltà dell’altro sono state alcune delle cose fondamentali per affrontare questo periodo. (I.G. 27 anni)
  • Per quanto mi riguarda posso soltanto dire che, nell’ultimo anno, è abbastanza diminuita la pazienza che riesco a tenere verso le persone. Percepisco un livello di maleducazione in aumento, che noi, nei supermercati, inevitabilmente subiamo. (F.C. 40 anni)
  • Da Marzo 2020 ho imparato la paura. Un nemico invisibile, nascosto tra i clienti, apparentemente gli stessi. Pure un po’ bastardi. Chi arrivava imbustato, chi con la sciarpa di cotone, chi senza nessuna protezione perché tanto il Covid non esiste. A casa adrenalina da riordino, terrazzi con la musica, scope che stanno in piedi da sole. Da giugno fino a ottobre (ma scemando) l’idea che forse ce l’avevamo fatta, l’Umbria libera e sicura. Ad ottobre (salendo) lo sconforto. Da lì ad oggi la consapevolezza di essere un pericolo per gli altri, la certezza che tra gli oltre 3000/5000 clienti che entravano, almeno 300/500 erano inconsapevoli portatori di Covid e uno ti avrebbe beccato.
    È successo a molti di noi, non so se colpiti al lavoro o fuori. I clienti un po’meglio, ma mica tanto, con i loro bambini sciolti senza nessuna copertura, con gli anziani, troppi, che te credi di proteggere e invece sono i primi a fregarsene. È subentrato lo sconforto e quel senso di vuoto che ti fa sembrare il divano l’unica pratica possibile. Il rapporto con il mondo esterno è azzerato, finita l’empatia ma anche la felicità, e al minimo pensiero esce sempre tanta rabbia. (M.T. 58 anni)
  • Provo ansia e tensione perché si lavora con la paura di contrarre la malattia, poi però anche gioia nel vedere lo sguardo di chi stai aiutando. Nel mio caso con le consegne a domicilio. (I.C. 38 anni)
  • Nei primi giorni avevo la sensazione di cupo, spento e malinconico dove tutti ci guardavamo preoccupati e alla radio passavano sempre i messaggi precauzionali, mi sentivo come in un campo di concentramento, dove cercavo di eseguire il mio lavoro velocemente per uscirne subito. Ora, trascorso più di un anno, nonostante l’emergenza continui, mi sento più leggera, ho voglia di andare al lavoro, di interagire con le persone che sono tornate “umane”, di poterci scambiare qualche parola e di poterle aiutare. Forse perché all’inizio l’impatto è stato devastante, una situazione strana a cui non ero pronta, mentre col trascorrere del tempo è diventata la normalità e con lei anche i miei pensieri. (C.G. 45 anni)
  • Durante lo scorso anno, ovvero nella prima iniziale fase di pandemia, nell’oscurità informativa che aleggiava, non mi sono reso conto del cambiamento perché noi del settore alimentare abbiamo regolarmente adempito al nostro compito lavorativo. Di certo abbiamo notato il cambiamento in coloro costretti a non poter uscire e di conseguenza non lavorare con quotidianità e abitudine. L’unica, ma importante fase di cambiamento è stata nei giorni (festivi) in cui la nostra libertà non poteva essere espressa, perché, giustamente, chiusi e fermi tra 4 mura amiche. Personalmente quella è stata la mancanza maggiore, perché io come amante e appassionato di montagna e estimatore di spazi aperti sono stato con sincerità in astinenza da…”quota”. (D.A. 44 anni)
  • Io ho iniziato a lavorare lì da gennaio e tipo a marzo era scoppiato il Covid, quindi non so tantissimo su com’era prima ma ricordo che quando annunciarono il primo lockdown, avevamo le corsie vuote. Ricordo gente che comprava pacchi di pasta, acqua, disinfettanti, con la paura che chiudessero anche i supermercati. Il carico di lavoro è triplicato, i clienti sono gli stessi… La maggior parte maleducati e anzi no, sicuramente peggiorati… Almeno io notavo una mancanza di rispetto nei confronti del nostro lavoro. Però credo che questo Covid abbia peggiorato la gran parte di tutti noi… Posso dire che è stata durissima, la gente pretende solamente e su 100 clienti che vedevo in un giorno, le persone gentili con me le contavo sulle dita di una mano… e che tu però devi incassare tutto e mai rispondere perché il cliente ha sempre ragione. E quindi ho lavorato con paura, perché i supermercati non sono posti sicuri; con rabbia, perché la gente non rispetta le regole nemmeno se li preghi in ginocchio… Ma anche con gioia, perché avevo accanto un gruppo fantastico. (A.A. 27 anni)

Un pensiero su “Emozioni da Covid

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