Non so se hai mai sentito parlare di “somatizzazione”, ma scommetto che almeno una volta nella vita hai avuto un forte mal di pancia nei giorni precedenti ad un esame, dopo un’accesa discussione o durante lo svolgimento di una qualsiasi attività che proprio non avevi voglia di fare. In tutti questi casi il tuo corpo ha espresso un disagio psichico, dovuto ad un evento stressante, attraverso un sintomo fisico: questo è il processo di somatizzazione, in poche e semplici parole.
Si tratta della tendenza ad esperire o comunicare la sofferenza psichica attraverso il corpo, dando luogo alla comparsa di sintomi fisici come cefalea, disturbi gastrointestinali o dolori articolari.
Molto probabilmente ognuno di noi, di fronte alle più svariate situazioni di vita quotidiana, ha in qualche modo somatizzato. Ciò non vuol dire essere “malati”, significa semplicemente ammettere che esista un forte collegamento tra la nostra mente e il corpo [1].
Perché somatizziamo?
Essenzialmente per 3 ordini di motivi:
- Non siamo degli automi, ma proviamo emozioni che normalmente esprimiamo tramite modificazioni neurobiologiche.
- Come già anticipato, l’interazione mente-corpo è in grado di influire sullo stato di salute.
- La somatizzazione è una difesa della nostra mente, la quale scarica un contenuto per lei disturbante nel corpo, che lo esprime con sintomi fisici. Questo accade in quanto tale contenuto non è adeguatamente elaborato, ma viene inconsapevolmente allontanato (per non doverlo affrontare) ed indirizzato verso un disagio fisico [1].
Questa modalità espressiva è spesso utilizzata in età infantile. Ad esempio, quando i/le bambini/e non hanno voglia di andare a scuola, spesso può comparire una sintomatologia fisica, come il mal di pancia o la febbre.
Ma attenzione, non si tratta di finzione! I sintomi sono REALI, dunque se misuriamo la temperatura al bambin*, il termometro segnalerà effettivamente uno stato febbrile.
L’adulto, in genere, è maggiormente in grado di affrontare la sofferenza psichica, ma la somatizzazione è una difesa che viene utilizzata anche da grandi: pensiamo a quando, dopo una serie di discussioni con i colleghi o con il capo in sede lavorativa, compare una forte cefalea per tutta la settimana.
È la mente che modifica la risposta fisiologica del nostro organismo.
Quali sono i sintomi somatici più comuni?
- Cefalea
- Dolori reumatici
- Vertigini
- Difficoltà a deglutire
- Ma, soprattutto… disturbi gastrointestinali (colite, diarrea, nausea, vomito ecc…) [2].
…Ma perché i disturbi più comuni sono proprio quelli gastrointestinali?
Tutta colpa del nostro intestino:
L’intestino viene anche denominato “secondo cervello”, poiché nel tratto gastrointestinale sono presenti milioni di neuroni che controllano i movimenti della muscolatura liscia intestinale, in maniera indipendente rispetto al sistema nervoso centrale (SNC)
L’asse intestino – cervello (Gut – Brain Axis, GBA) mette in comunicazione SNC e il SNE (sistema nervoso enterico) tramite il nervo vago, condividendo un complesso interscambio di informazioni cognitive ed emotive attraverso connessioni nervose, ormoni e neurotrasmettitori.
Tutto questo sistema è fortemente correlato allo stato di salute fisico e mentale, infatti molti disturbi psicologici sono spesso in comorbilità (in coesistenza) con patologie quali la sindrome dell’intestino irritabile o con il reflusso gastroesofageo.
Lo scambio avviene in entrambe le direzioni: per esempio, l’intestino influenza la nostra mente producendo serotonina, che ci dona quella sensazione di generale benessere (mangiamo cioccolato e siamo super felici!); e la mente influenza la nostra motilità intestinale.
In fondo lo sapevamo già: le nostre emozioni le “sentiamo nella pancia”, le decisioni basate sulle sensazioni “le prendiamo di pancia”, “ho le farfalle nello stomaco” , quando mi fai arrabbiare “mi fai torcere le budella” o “mi fa fari abbìli!” (in gergo siculo, “mi fai produrre la bile”, provocando bruciore di stomaco).
Le emozioni negative possono provocare un aumento della motilità intestinale, infiammazione della mucosa ed aumento della sensibilità. Di conseguenza, paura, ansia e stress possono manifestarsi con stipsi, dissenteria, gonfiore addominale [3].
Come già specificato, l’essere umano non è un automa, quindi tutto ciò appartiene alla nostra quotidianità e abbiamo imparato a conviverci, senza farci sopraffare da tali meccanismi.
La somatizzazione la ritroviamo anche nei disturbi psicosomatici, i quali sono caratterizzati dalla persistenza di sintomi fisici che provocano disagio e compromissione significativa della vita di tutti i giorni.
All’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) si trova la categoria diagnostica dei “disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati”, comprendenti tutte quelle patologie dove i sintomi somatici sono rilevanti, causando disagio e compromissione significativi.
Appartengono a questa categoria diagnostica: [2]
- Disturbo da sintomi somatici: presenza di sintomi somatici per almeno sei mesi, che causano forti limitazioni nella vita di tutti i giorni e sono accompagnati da ansia e preoccupazione circa la gravità di tali sintomi.
- Disturbo da ansia di malattia: più comunemente ipocondria; paura intensa e costante di avere o contrarre una malattia, accompagnata da eccessiva preoccupazione.
- Disturbo di conversione: consiste nel trasferimento sul corpo di pulsioni o desideri inaccettabili, attraverso vie nervose volontarie. I sintomi tendono a “mimare” malattie fisiche neurologiche (paralisi, afonia, sclerosi…)
- Disturbo fittizio: caratterizzato da sintomi fisici prodotti o simulati intenzionalmente per assumere il ruolo di malato, senza ricercare alcun vantaggio secondario; il comportamento ingannevole, dunque, è palese, ma in assenza di vantaggi esterni. Può essere rivolto verso se stessi o ad altri (“disturbo fittizio per procura”).
- Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche.
- Disturbi da sintomi somatici e correlati con o senza altra specificazione.
Questi disturbi possono essere accompagnati da una condizione medica o patologia organica.
Cosa fare ?
Nei disturbi da sintomi somatici, è importante l’utilizzo di un approccio integrato che veda la sinergia di diverse professionalità, in particolare medico di medicina generale, psicologo/a, psichiatra.
Un percorso di sostegno e terapia con lo/la psicologo/a è finalizzato all’elaborazione dei contenuti mentali somatizzati e a trovare strategie utili per affrontare il disagio: per questa categoria di disturbi, un lavoro mirato alla consapevolezza, al riconoscimento ed all’espressione delle emozioni si rivela di fondamentale importanza.
È possibile valutare l’integrazione con terapia farmacologica prescritta dal medico psichiatra.
I disturbi psicosomatici hanno un’incidenza pari a circa il 7% nella popolazione generale, ma a causa della loro difficile diagnosi, pare che siano molto più diffusi [2].
Trascurarli non è una soluzione; rivolgersi ai professionisti della salute… sì!
Dott.ssa Ammirata Martina
Bibliografia:
[1] Porcelli, P. (2009) Medicina psicosomatica e psicologia clinica. Raffaello Cortina: Milano
[2] American Psychiatric Association (2014) Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM 5). Raffaello Cortina: Milano
[3] Pace F., Pace M., Biasini D. (2012) Stress e disturbi funzionali digestivi. In: Stress e disturbi da somatizzazione. Springer: Milano