Ira furor brevis est
Orazio (Quinto Orazio Flacco)
Orazio, nel I secolo a.C., in sole quattro parole, riesce a riassumere la forza, l’improvvisa insorgenza, la furia cieca e la breve durata con cui si manifesta la rabbia, sebbene queste caratteristiche verranno studiate scientificamente solo molti secoli dopo. Tale emozione, così impetuosa è stata ampiamente descritta nella letteratura, basti pensare all’ira del “pelide” Achille, che per il dolore e la furia di aver perso l’amico scatenò una carneficina, Dante addirittura punì gli iracondi, posizionandoli all’inferno, i quali si dibattono nel perpetuo tentativo di emergere dalla fanghiglia del fiume Stige, che per la legge del contrappasso rappresenta la rabbia che li ha sommersi in vita.
L’emozione di cui parlano tutti questi autori la conosciamo ancora al giorno d’oggi e spesso è facile da riconoscere, quando insorge, proprio a causa della sua intensità: stiamo parlando di una forza invisibile che ci spinge ad agire e re-agire, ad avvicinarci per affrontare fisicamente l’oggetto della nostra frustrazione, a volte anche con una certa carica aggressiva…
Mettiamola sotto la lente d’ingrandimento e osserviamo più da vicino la rabbia, che potremmo definire come l’emozione più “relazionale” di tutte. Come dice Michael Lewis, infatti, la rabbia, rispetto alle altre emozioni di base (che ricordiamo essere gioia, paura, rabbia, disgusto, sorpresa e tristezza), ha la caratteristica di sollecitare all’azione per spingerci verso gli altri e interagire; al contrario, il disgusto la tristezza o la paura tenderebbero ad allontanare dall’ambiente sociale, e ad isolarsi.
Che cos’è la rabbia?
La rabbia viene identificata come l’emozione di base più pericolosa: quando ci arrabbiamo corriamo più facilmente il rischio di perdere il controllo e quindi fare del male a qualcuno (1).
Tutte le emozioni sono degli indicatori immediati e istintuali che ci permettono di orientarci rapidamente verso ciò che sta accadendo: la rabbia, in particolare, permette di trovare l’energia necessaria a difenderci da ciò che potrebbe rivelarsi potenzialmente dannoso per noi, aiutandoci a fronteggiare prontamente i problemi che ci si presentano.
Le situazioni che stimolano l’insorgere della rabbia possono essere molteplici, Ekman ne evidenzia almeno quattro, tuttavia molto dipende dalla nostra storia passata e dalla nostra sensibilità personale: possibilmente qualsiasi situazione può scatenare eccessi di rabbia!
L’insorgere di interferenze che impediscono di portare avanti gli obiettivi prefissati è sicuramente la prima condizione responsabile della frustrazione: nel momento in cui un ostacolo ci fa saltare i piani, la tendenza principale è tentare di rimuovere fisicamente (o per lo meno verbalmente) l’impedimento. Il comportamento classico è maledire l’ostacolo, imprecare, alzare il tono di voce e talvolta, se non c’è la possibilità di arrivare al colpevole, incolpare un capro espiatorio…
Una seconda situazione che genererebbe la rabbia è il trovarsi a fronteggiare una minaccia fisica: nella lotta per la sopravvivenza una reazione pronta, istintiva e che permetta di mettere in fuga l’aggressore è fondamentale per difendersi e proteggere la prole. In quest’ottica, soprattutto in tempi meno recenti, la rabbia ha svolto una funzione evolutivamente indispensabile per la prosecuzione della specie.
I pericoli però non sono sempre e solo fisici, al contrario al giorno d’oggi è più probabile imbattersi in situazioni in cui l’imperativo è difendersi da quanto può ferirci psicologicamente, ad esempio offese, rifiuti, delusione delle aspettative e comportamenti altrui che denotano scarsa attenzione per noi. Come ognuno di noi saprà bene, c’è differenza se ad offenderci è qualcuno/a a cui teniamo o qualcuno/a di cui non abbiamo la minima considerazione, nel primo caso è normale provare tristezza, oltre alla rabbia, e di sicuro la sovrapposizione di più emozioni non ci semplifica le cose!
Altre condizioni che innescano la rabbia sono sicuramente le ingiustizie, come subire un torto, e il veder offesi i nostri valori più cari (come la fedeltà in una relazione o l’onestà). In particolare se il torto subito è percepito come intenzionale e deliberato la rabbia è, solitamente, più intensa.
Sebbene ci accomuni tutti per determinate caratteristiche, l’intensità con cui si esperisce questo vissuto emozionale varia da persona a persona: c’è chi riconosce la rabbia in maniera improvvisa, violenta e travolgente e chi la avverte montare per gradi; alcuni sono più inclini a percepire le situazioni come frustranti e reagire con un aumento della rabbia, altri si lasciano infastidire meno e non vi si abbandonano facilmente. La rabbia, come abbiamo visto, non differenzia le persone solo per quanto riguarda le motivazioni che la innescano, l’intensità con cui viene vissuta o per la velocità con cui si scatena ma anche per la rapidità con cui si dissolve una volta che è cessata la provocazione. Nel nostro repertorio di conoscenze abbiamo tutti almeno una persona che esplode di rabbia per un nonnulla ma che poi torna al suo stato di quiete in tempi estremamente rapidi (nel mio repertorio ad esempio c’è mio padre!) e ci saranno con altrettanta probabilità persone che ci mettono molto ad arrabbiarsi ma, una volta che la frittata è fatta, impiegano giorni per tornare a parlarti di nuovo (come mia madre…).
Cosa accade quando ci arrabbiamo?
La rabbia, come tutte le emozioni, determina l’attivazione del sistema nervoso simpatico ed i correlati fisici sono particolarmente intensi, come intensa è l’esperienza dell’emozione stessa. Questi cambiamenti fisiologici non sono controllabili da chi vive l’emozione sebbene possano essere modulati i comportamenti, prestandovi attenzione.
La rabbia è associata ad un aumento del battito cardiaco e quindi della pressione sanguigna, inoltre i muscoli si fanno più tesi, le vene su collo e fronte si gonfiano, il respiro è più irregolare e la postura più eretta.
A livello neurobiologico sono stati rilevati un aumento del testosterone e una diminuzione del cortisolo (2). Il testosterone è un ormone ampiamente coinvolto nelle condizioni di dominanza sociale e nei comportamenti aggressivi e competitivi, il cortisolo invece è un indicatore della reazione ad una situazione stressante.
È interessante notare che l’attività cerebrale associata alla rabbia si concentra perlopiù nella corteccia frontale sinistra, la stessa che solitamente è associata alle emozioni piacevoli, come ci ricorda Marina nell’articolo sulla felicità. In realtà questo dato, che a prima vista può sembrare paradossale, nello stato della rabbia indica per lo più l’ingaggio motivazionale a fronteggiare l’ostacolo per eliminarlo: non si lascia andare la fonte della rabbia perché bisogna affrontarla!
Come si riconosce?
Paul Ekman ha dedicato gran parte della sua vita allo studio delle espressioni facciali, individuando e catalogando ogni singolo movimento che consente ad un volto di trasmettere lo stato emozionale in maniera dettagliata e specifica (3). Grazie a lui conosciamo con rigore scientifico le micro espressioni facciali tipiche della rabbia e possiamo riconoscerle prestando attenzione a tre aspetti:
- le sopracciglia abbassate e ravvicinate che tendono a formare solchi verticali tra di loro;
- le palpebre tese e gli occhi che fissano duramente;
- le labbra serrate oppure che lasciano intravedere i denti.
A volte capita di identificare la rabbia come un’emozione negativa poiché innesca uno stato di tensione e scarsa piacevolezza. In realtà è importante evidenziare che non esiste la scissione tra emozioni positive e negative dal momento che ognuna di queste assolve ad uno specifico compito: la rabbia non è un’emozione di cui vergognarsi, ciò che però va controllato è il comportamento che segue alla carica emotiva. Alcuni individui hanno la capacità di bloccare i comportamenti rabbiosi ma non è insolito il verificarsi di un moto spontaneo in avanti e l’impulso a colpire l’oggetto della nostra rabbia, ad urlare e lanciare oggetti. Persone che sperimentano livelli elevati di rabbia hanno una probabilità maggiore di incorrere in comportamenti più negativi (4), tuttavia l’aggressività ed i comportamenti violenti sono un effetto collaterale, l’esempio più estremo delle conseguenze della rabbia e non certo l’esito più diretto.
Come si gestisce un tornado di rabbia?
Dall’esperienza personale, prima che dall’articolo, ormai saprete che un’emozione così immediata, istintuale e soprattutto intensa è impegnativa da gestire quando insorge, e a chi non è mai capitato di “perdere la testa”, “non vederci più dalla rabbia” o “non rispondere più di se stesso/a”?
La capacità di riconoscere le proprie emozioni e gestirle è indispensabile per creare e mantenere delle relazioni positive, che tanto fanno bene al nostro equilibrio psichico. Al contrario la ruminazione rabbiosa (la tendenza a ripercorrere di continuo quanto accaduto) e l’incapacità di esprimerla in maniera adeguata risulta particolarmente negativa per la mente dal momento che mantiene attiva e aumenta l’intensità dello stato emotivo. La medicina psicosomatica inoltre afferma che le persone incapaci di esprimere la rabbia sono soggette a problemi cardiovascolari, contratture muscolari, problemi digestivi, insonnia, emicrania ma anche ulcera o calcoli (5).
Un primo passo verso la gestione della propria rabbia è sicuramente prendere consapevolezza dell’emozione, riconoscerla e verbalizzarla, questo infatti, aiuta ad orientarsi per rispondere all’esigenza che l’ha scatenata. Per riuscire in questo primo step è fondamentale la capacità di osservazione: prestare attenzione alle sensazioni corporee tipiche della rabbia, e riconoscerle quando si presentano, aiuta a sviluppare la consapevolezza che ci permetterà di prendere le distanze quando l’emozione si fa più intensa. Comprendere la rabbia significa anche capirne le motivazioni sottostanti per avere un quadro chiaro della situazione, questo riflette aspetti importanti di noi come le esperienze vissute, aspettative, gestione difficile della situazione…
Il punto cruciale è condividere l’emozione con l’altro: attenzione, però! E’ bene spiegare perché quello che ha fatto l’altra persona ci ha feriti, ma non bisogna mai cedere alle accuse o ad azioni violente, siamo noi a decidere quali comportamenti attuare. In questo ci viene incontro la comunicazione assertiva. L’assertività aiuta ad agire nel nostro migliore interesse e a difenderci senza ansia, una comunicazione assertiva, quindi, consente di manifestare con facilità ed onestà le nostre sensazioni e soprattutto di esercitare i nostri diritti senza negare quelli altrui (6).
Patologicamente arrabbiati!
La rabbia patologica ha molteplici facce e non risparmia nessuno, nemmeno l’area infantile e adolescenziale, provocando notevoli danni per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità socio-relazionali.
Il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente emerge tra i 6 e i 10 anni di età e si evidenzia con un umore persistentemente arrabbiato o irritabile, accompagnato da forti esplosioni di rabbia sproporzionate rispetto alla situazione vissuta. La rabbia disfunzionale si presenta anche nel disturbo oppositivo provocatorio, in questo caso però èaccompagnatada comportamenti provocatori ed oppositività, che causano problematiche adattive a livello sociale.
Negli adulti, invece, la rabbia cronica e patologica può sfociare in un disturbo esplosivo intermittente, in cui la caratteristica è il discontrollo degli impulsi aggressivi, cioè l’individuo non è in grado di gestire gli attacchi di collera, che quindi portano immancabilmente ad atti aggressivi verso oggetti e/o persone (7).
Tra le cause che scatenano la rabbia, il più delle volte, possono esserci dei pensieri irrazionali, come ad esempio pretese assolute e doverizzazioni (“gli altri devono trattarmi bene ed agire come io penso che debbano agire, altrimenti meritano di pagarla”), giudizi globali su se stessi e sugli altri ed inferenze erronee o previsioni (“non supererò mai l’esame perché il prof gode nel bocciare gli studenti”) (8).
Il lavoro da fare, quando le cause della rabbia originano da convinzioni di questo tipo, è la trasformazione delle convinzioni irrazionali per ristrutturarle e sostituirle con convinzioni più flessibili e positive, in grado di elicitare emozioni e comportamenti adattivi.
Benedetta Ciabattoni
Bibliografia
- Ekman, P., Friesen, W. V., & Ellsworth, P. (2013). Emotion in the human face: Guidelines for research and an integration of findings (Vol. 11). Elsevier.
- Herrero, N., Gadea, M., Rodríguez-Alarcón, G., Espert, R., & Salvador, A. (2010). What happens when we get angry? Hormonal, cardiovascular and asymmetrical brain responses. Hormones and Behavior, 57(3), 276–283.
- Ekman, P. (1965). Differential communication of affect by head and body cues. Journal of personality and social psychology, 2(5), 726.
- Deffenbacher, J. L., Oetting, E. R., Lynch, R. S., & Morris, C. D. (1996). The expression of anger and its consequences. Behaviour Research and Therapy, 34(7), 575-590.
- Haukkala, A., Konttinen, H., Laatikainen, T., Kawachi, I., & Uutela, A. (2010). Hostility, anger control, and anger expression as predictors of cardiovascular disease. Psychosomatic Medicine, 72(6), 556–562.
- Alberti, R. E., & Emmons, M. (1995). Your perfect right. Impact Publishers.
- American Psychiatric Association. (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (5a Ed.): DSM-5. Trad. it. Raffaello Cortina, Milano 2014
- Ellis A. (1989) Ragione ed emozioni in psicoterapia, Roma, Astrolabio.