PTSD, il trauma bloccato nella nostra mente

PTSD
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“Le vittime di traumi non possono riprendersi finché non prendono confidenza e fanno amicizia con le sensazioni del loro corpo. Essere spaventati significa che si vive in un corpo che è sempre in guardia. Le persone arrabbiate vivono in corpi arrabbiati. I corpi delle vittime di abusi sui bambini sono tesi e difensivi finché non trovano un modo per rilassarsi e sentirsi al sicuro. Per cambiare, le persone devono diventare consapevoli delle loro sensazioni e del modo in cui i loro corpi interagiscono con il mondo che li circonda. L’autoconsapevolezza fisica è il primo passo per liberarsi dalla tirannia del passato.”

Bessel A. van der Kolk

Il concetto di “trauma”: la chiave per comprendere la base scientifica e l’espressione clinica del PTSD.

      Lo studio del trauma, fisico e/o psicologico, e delle conseguenti ripercussioni che possono coinvolgere l’area psichica dell’individuo sono al giorno d’oggi oggetto di continua ricerca. Non bisogna considerare solo l’evento traumatico di per sé, ma anche l’esperienza non adeguatamente elaborata, compresa e metabolizzata, le cui ripercussioni psicologiche, brevi o prolungate che siano, possono manifestarsi immediatamente o a distanza di tempo.

Alcuni soggetti provano molta angoscia subito dopo essere state vittime di un episodio traumatico, ma riescono a sentirsi meglio col passare del tempo senza alcun intervento da parte di specialisti. Altri, invece, iniziano a sviluppare sintomi gravi come stress, depressione o ansia, con grandi ripercussioni in molteplici contesti della loro vita.

    

Nel 1941 lo psichiatra e psicoanalista Abram Kardiner, cofondatore della “Psychoanalytic Clinic for Training and Research” della Columbia University, fu il primo a spiegare come le “nevrosi traumatiche” siano caratterizzate da due fasi distinte: una prima fase chiamata “fisioneurosi” in cui il paziente è soggetto ad uno stato di ansia e confusione; una seconda fase dove il soggetto cerca di adattarsi alla sua nuova percezione del mondo, nel tentativo di compensare le sue debolezze, non sempre con risultati ottimali. [1]

Se il trauma è sufficientemente intenso, lo stato di stress continuerà comunque a provocare una serie di reazioni nel soggetto, vittima di una mente e di un corpo che “continuano a rispondere” anche di fronte a stimoli esterni non importanti o non pertinenti.

    Il Disturbo post-traumatico da stress

      “Il conflitto tra la volontà di negare eventi orribili e la volontà di proclamarli ad alta voce è la dialettica centrale del trauma psicologico.” 

Judith Lewis Herman 

  Il Disturbo post-traumatico da stress (PTSD) può svilupparsi dopo l’esposizione ad un evento traumatico, come aggressioni, violenze sessuali, guerre, incidenti stradali, catastrofi naturali, abusi sui minori o altre minacce per la salute fisica e mentale di una persona.

Tramite la letteratura classica, ci sono pervenute numerose opere che in maniera indiretta testimoniano la consapevolezza, anche in tempi antichi, della presenza di questo disturbo. In particolare, personaggi descritti nell’Odissea di Omero sembrano soddisfare molti, se non tutti, dei criteri diagnostici odierni, ma anche autori come Goethe e Shakespeare si sono impegnati nel descrivere il fenomeno tramite i loro personaggi. Nonostante ciò, lo stress post-traumatico è stato riconosciuto in ambito psichiatrico solo a partire dalla fine dello scorso secolo, quando nel 1980 è stato introdotto il PTSD nella terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.

  I criteri per la diagnosi comprendono:

    A. l’esposizione ad un evento traumatico;

    B. sintomi intrusivi, come sogni e flashbacks;

    C. sintomi evitanti/protettivi, il soggetto evita qualsiasi pensiero o situazione che possa suscitare ricordi traumatici angoscianti;

    D. sintomi negativi come sensi di colpa, poca autostima, incapacità di provare sentimenti positivi come gioia, amore o piacere;

    E. sintomi di agitazione, ipervigilanza, paura, problemi di concentrazione, insonnia;
  F. durata dei sintomi: i sintomi devono persistere per almeno un mese prima che il PTSD possa essere diagnosticato;

    G. compromissione del soggetto in ambito sociale e lavorativo;
  H. escludere la possibilità che i sintomi siano in realtà dovuti a farmaci, alcol, uso di sostanze o altri disturbi psichiatrici. [2]

Neurobiologicamente nel PTSD si possono osservare una serie di avvenimenti che coinvolgono il nostro sistema nervoso centrale e autonomo, in particolar modo una maggiore attività a livello dell’amigdala, gruppo di nuclei situati nel sistema limbico, responsabile dell’elaborazione delle risposte emotive, in particolar modo la paura. Può essere considerata come un vero e proprio sistema di allarme che, davanti ad un pericolo imminente, invia segnali al resto del nostro cervello e al nostro corpo, tramite il rilascio di una serie di ormoni e neurotrasmettitori: cortisolo, adrenalina e noradrenalina che agendo a livello del nostro sistema nervoso autonomo, causano un aumento della frequenza cardiaca, respiratoria e del tono muscolare.

Tutta questa serie di fenomeni neurobiologici fa parte della risposta “fight-flight”, attacco o fuga, grazie alla quale il nostro corpo si prepara molto velocemente a rispondere a pericoli imminenti, per massimizzare le nostre possibilità di sopravvivenza in modo rapido ed efficiente.

Quando ciò accade, l’ippocampo, il quale si occupa del consolidamento delle nuove informazioni, dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, va offline, non interpretando né contestualizzando le informazioni ricevute. Questo significa che, in caso di trauma, le informazioni vengono elaborate diversamente da quanto avviene solitamente e il cervello immagazzina un diverso tipo di memoria, una memoria “traumatica”, non ben organizzata, ma frammentata.

Abbiamo poco controllo sul recupero di questi ricordi, anzi tendono a tornare involontariamente, senza preavviso. Inoltre, non essendo ben orientati nel tempo, quando riaffiorano è difficile collocarli in una linea temporale, è come se si verificassero di nuovo in quel momento. Tali ricordi, poi, tendono ad essere associati a tutta una serie di emozioni e sensazioni fisiologiche imprevedibili provate al momento del trauma. Questi ricordi sono così intrusivi, opprimenti e angoscianti che il soggetto fa di tutto per evitare che ritornino, quindi tende a evitare di esporsi a fattori di rischio.

Image of compassionate psychiatrist comforting her crying patient

Mens Sana in Corpore Sano, tra EMDR e yoga.

      “Il trattamento del trauma consiste nel rendere sicuro per le persone il ricordare. Rendere sicuro per le persone fissare la realtà in faccia. Il nucleo e l’abilità per diventare un terapeuta del trauma è la capacità di aiutare le persone a ricordare in modo sicuro.”

Bessel van der Kolk

      Bessel Van der Kolk è uno psichiatra olandese della Boston University che fin dagli anni ’70 ha focalizzato la sua ricerca nell’area dello stress post-traumatico, studiando come i bambini e gli adulti si adattano alle esperienze traumatiche, creando una nuova linea di pensiero per quanto riguarda l’approccio terapeutico, non considerando il trauma solo come un ricordo da digerire, ma ponendo più attenzione al nostro corpo, bloccato in uno stato di terrore, e al cui interno sono intrappolate una serie di emozioni negative.

Sottolinea, inoltre, come sia improbabile che le vittime di un forte trauma possano soffrire solo all’interno della loro mente, ma come in realtà i loro sintomi siano visibili anche nel modo in cui respirano, dormono, camminano e affrontano qualsiasi compito quotidiano. 

Van der Kolk invita il terapeuta a considerare il corpo del paziente come una sorta di scheda di valutazione dell’esperienza emotiva che il suo proprietario ha vissuto, che dovrebbe essere letta e seguita con la stessa attenzione di qualsiasi cartella clinica.

Lo studioso ha condotto alcuni dei primi studi neurobiologici e di neuroimaging sul PTSD, ricevendo le prime sovvenzioni dal National Institutes of Health per studiare l’EMDR e lo yoga.

L’EMDR, (“Eye Movement Desensitization and Reprocessing”), è un trattamento psicoterapeutico progettato per alleviare lo stress associato ai ricordi traumatici, riconosciuto dall’American Psychiatry Association e dall’OMS. Il trattamento prevede che il paziente rievochi l’evento traumatico mentre il terapeuta lo guida nella desensibilizzazione del ricordo attraverso la stimolazione di movimenti oculari laterali. Questo processo permette al soggetto di percepire il ricordo con più distacco, riducendo l’intensità della sintomatologia associata al trauma. Inoltre, il paziente impara ad essere più consapevole di ciò che sta percependo come una minaccia, semplicemente osservandola invece di cercare di controllarla. [3]

Per quanto riguarda lo yoga, questo permette di rallentare la respirazione e regolare la frequenza cardiaca. In questo modo lo stress diminuisce, si riescono a percepire meglio le sensazioni provenienti dal nostro corpo, dove è immagazzinato il trauma stesso. L’assumere posizioni, non sempre facili e percepite come scomode per un periodo limitato, aiuta il paziente a riappropriarsi della percezione del tempo, permettendogli di fare cose che normalmente non farebbe o non oserebbe fare, come esperienze fisiche e sensoriali associate alla paura e all’impotenza, per aumentare la propria consapevolezza emotiva. [4]

 MDMA assisted psychotherapy, trattamento innovativo ed efficace per il disturbo da stress post-traumatico.

Ad oggi il 40-60% dei pazienti affetti da PTSD non rispondono né alle terapie cognitivo comportamentali né alla terapia farmacologica. [5]

Rick Doblin, psicologo statunitense, fonda nel 1986 la MAPS (Associazione Multidisciplinare per gli Studi Psichedelici) con l’obiettivo di far approvare la 3,4-metilendioxymethamphetamine (MDMA) dalla FDA per il trattamento del PTSD.

Non bisogna confondere, tuttavia, l’MDMA con l’Ecstasy. Le sostanze vendute illegalmente con questi nomi possono contenere o meno MDMA, e spesso contengono anche adulteranti sconosciuti e potenzialmente dannosi. In studi di laboratorio, l’MDMA pura si è dimostrata sufficientemente sicura per il consumo umano, a condizione che venga assunta un numero limitato di volte in dosi moderate e durante sessioni psicoterapeutiche assistite da specialisti.

Nei trial clinici, grazie a tecniche di neuroimaging, è stato riscontrato che questa sostanza oltre ad indurre il rilascio di serotonina, legandosi ai suoi trasportatori presinaptici, migliori l’estinzione dei ricordi negativi a livello dell’amigdala e crei una finestra di neuroplasticità ossitocino-dipendente che di solito viene persa dopo l’età adolescenziale, permettendo al paziente di rielaborare il trauma vissuto.

Un altro vantaggio della terapia assistita è che la sostanza, grazie alla sua immediata efficacia, viene somministrata solo per poche sessioni, a differenza della maggior parte degli antidepressivi che sono spesso presi quotidianamente per anni, e talvolta per sempre.

Nell’agosto 2017 la FDA ha dichiarato la sostanza accessibile per trial sulla “breakthrough therapy” per il disturbo post-traumatico da stress, permettendo così un iter di sperimentazioni più veloce.

L’analisi complessiva della terapia ha mostrato risultati promettenti in termini di sicurezza ed efficacia portando l’FDA nel Dicembre 2019 ad approvare un programma di terapie sperimentali della MAPS, potenzialmente benefiche per pazienti che non rispondono ai trattamenti attualmente disponibili.

Il centro MAPS vuole rendere in un futuro la MDMA assisted therapy un trattamento su prescrizione approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) entro il 2023. [6]

  “Trauma is not a story. Trauma changes the brain.”

Bessel van der Kolk

Elena Pia Dalmazio Tarantino

Bibliografia

(1)    “Approaches to the Treatment of PTSD”, Bessel A. van der Kolk, M.D.

https://somaticexperiencing.dk/wp-content/uploads/2017/02/Approaches-to-the-Treatment-of-PTSD-van-der-Kolk-et-al.pdf

(2) “A Brief History of the PTSD Diagnosis”, Matthew J. Friedman, MD, PhD https://www.ptsd.va.gov/professional/treat/essentials/history_ptsd.asp#one

(3) “What psychological testing and neuroimaging tell us about the treatment of PTSD by EMDR”.

Levin, P; Lazrove, S; Bessel Van der Kolk M.D. (1999).

(4) “Yoga as an adjunctive treatment for posttraumatic stress disorder: a randomized controlled trial”. Bessel A. van der Kolk, M.D.  (2014).

(5) 3,4-Methylenedioxymethamphetamine-assisted psychotherapy for treatment of chronic posttraumatic stress disorder: A randomized phase 2 controlled trial Marcela Ot’alora G  1 , Jim Grigsby  2 , Bruce Poulter  1 , Joseph W Van Derveer 3rd  3 , Sara Gael Giron  4 , Lisa Jerome  5 , Allison A Feduccia  5 , Scott Hamilton  6 , Berra Yazar-Klosinski  4 , Amy Emerson  , Michael C Mithoefer  , Rick Doblin 

(6) MAPS, https://maps.org/research/mdma

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