“Lo dice la scienza”: perché una ricerca è sbagliata e tante sono giuste

lo dice la scienza
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Sarà capitato anche a voi di scorrere la bacheca di Facebook o di sfogliare una rivista e di incappare in un titolo del tipo “Hai incontrato quello giusto? Te lo dice la scienza” [1], oppure “Felicità: quello che ti serve davvero per trovarla non è un segreto, lo dice la scienza” [2], o ancora “Leggere il pensiero (grazie alla scienza)” [3]. Se vi siete fatti tentare dalla curiosità e avete proseguito nella lettura, saprete che si tratta spesso di articoli piuttosto vaghi che fanno riferimento a un qualche studio fatto da gruppi di ricerca di un’università che probabilmente non avrete mai sentito nominare, solitamente americana. Il contenuto è quasi sempre molto meno sensazionale del titolo, ma si tratta comunque di ricerche reali e di risultati effettivi.

A chi non mastica metodo scientifico e non sa come funziona la ricerca può venire spontaneo chiedersi quale sia il valore di queste ricerche.

Se dei ricercatori hanno trovato che il DNA predice la nostra felicità coniugale, perché non sono ancora nate agenzie matrimoniali che accoppiano le persone sulla base del loro codice genetico? Perché ci sentiamo ancora tristi e infelici quando i segreti della felicità sono già stati scoperti? Perché i tribunali non utilizzano macchine che leggono il pensiero per scoprire se una persona mente o dice la verità?

Per spiegarlo bisogna partire da alcuni concetti base del metodo scientifico.

Quando pensiamo agli scienziati tendiamo ad immaginarci dei tipi eccentrici e solitari che, presi da calcoli ed esperimenti, rivoluzionano continuamente il modo di vedere i fenomeni naturali e giungono a nuove verità. Non è un caso se nell’immaginario collettivo Einstein è visto come lo scienziato per eccellenza [4].

La scienza moderna, tuttavia, è ben diversa dall’idea che molti hanno. Ogni anno gli studi scientifici che vengono pubblicati sono nell’ordine del milione [5] [6] ; di questi ben pochi hanno un impatto rivoluzionario, la stragrande maggioranza è solo un minuscolo tassello nell’accumularsi di conoscenze che permettono il progresso. Questo succede perché il metodo scientifico deve fare i conti con due elementi impossibili da ignorare del mondo che ci circonda: la complessità e la casualità.

La complessità

La realtà è estremamente complessa. È impossibile conoscere in maniera approfondita la natura di ogni processo chimico, fisico, psicologico, sociale e di ogni altro tipo. Anche se esistono discipline diverse con propri metodi e nomenclature, non esiste processo psicologico che non sia anche sociale, biologico, chimico e fisico allo stesso tempo: la realtà è unica. L’umanità dispone di una quantità enorme di conoscenze! Eppure questa vastità e diversità può precludere la possibilità di avere una visione d’insieme. Le informazioni sono troppe e risulta difficile (se non impossibile) per un singolo avere una visione d’insieme che abbracci tutti i campi della conoscenza.

Ad oggi, il progresso scientifico si realizza attraverso i “settori di specializzazione”: ricercatori e ricercatrici perfezionano, ampliando, pochi singoli argomenti, acquisendo maggiori competenze su questi. Attraverso questo processo di specializzazione, le conoscenze di diverse discipline possono avanzare. Ne consegue che le ricerche scientifiche condotte sono molte, altamente specifiche e specializzate.  Per dare una misura del fenomeno, si pensi che una ricerca scientifica “di successo” nell’ambito della psicologia, pubblicata in una delle migliori riviste scientifiche del mondo, ha dimostrato l’esistenza di una lieve illusione ottica: mostrando dei puntini luminosi bianchi accompagnati da brevi suoni, su uno sfondo nero, la quantità percepita di puntini varia a seconda del numero dei suoni presentato [7]. Si tratta dunque di studi molto limitati che, da soli, non cambiano di molto le nostre conoscenze. È necessario l’accumulo di tanti piccoli studi per giungere ad un progresso stabile e che abbia un’influenza sulle nostre vite.

La casualità

Il secondo problema di cui bisogna tener conto è quello della casualità. Fare un esperimento significa dimostrare un nesso di causa-effetto tra un elemento ed un risultato che esso produce, e questo si rivela molto difficile nel caso delle scienze della vita (la medicina, la biologia, la psicologia). Un esempio semplice da comprendere può essere: vogliamo testare l’efficacia di un farmaco sul raffreddore. È evidente che il risultato che ci interessa è se le persone guariscono o meno dopo aver preso il farmaco. Ma come possiamo essere sicuri che i soggetti a cui abbiamo somministrato il farmaco guariscano per effetto di questo e non spontaneamente?

Di solito, per superare questo problema si ricorre a gruppi di controllo, ovvero situazioni in partenza uguali alla nostra, in cui tuttavia non inseriamo il fattore secondo noi cruciale; per farci capire, un gruppo di pazienti a cui il farmaco non viene somministrato. Tutta una serie di fattori però devono essere tenuti sotto controllo: occorre essere sicuri che i pazienti del gruppo a cui viene somministrato il farmaco non guariscano in maggior numero rispetto al gruppo di controllo perché sono meno gravi, più giovani o perché conducono una vita migliore: non sono fumatori, non hanno avuto malattie precedenti che li abbiano indeboliti o una qualunque altra condizione che possa aver influito sui nostri risultati.

I ricercatori conoscono bene questo problema e quando progettano un esperimento valutano attentamente quali fattori possano influenzare i loro risultati e cercano di bilanciare in tal senso i gruppi sottoposti all’esperimento (banalmente si cerca di avere lo stesso numero di uomini e di donne nel gruppo sperimentale e in quello di controllo o di fare in modo che l’età media sia all’incirca la stessa). Non tutti questi fattori, però, sono sempre noti e non sempre possono essere controllati. Riprendendo l’esempio del farmaco, potremmo non riuscire a formare due gruppi di persone malate che siano perfettamente paragonabili, anche perché non possiamo decidere chi si ammala e chi no. Anche immaginando di riuscire a controllare tutti i fattori che possano contribuire al nostro risultato, il caso gioca sempre un ruolo importante: nessun esperimento, per quanto perfetto, può mai escludere che il risultato ottenuto sia frutto del semplice caso.

Anche in questo contesto, il problema è ben noto e si compiono delle analisi matematiche sui risultati con lo scopo di determinare la probabilità che il risultato sia dovuto alla casualità. Non ci soffermeremo su questo tipo di analisi, che potremmo approfondire in un articolo ad hoc, ma ci basta sapere che, nelle scienze della vita, il risultato di un esperimento si considera valido se ha meno del 5% di probabilità di essere casuale [8]. Provando ad essere più pratici, ritorniamo al nostro studio sul raffreddore: abbiamo ipotizziamo di aver trovato che il nostro farmaco guarisca il gruppo sperimentale prima di quanto guarisca il gruppo di controllo (che ricordiamo non ha assunto alcun farmaco); qual è la probabilità che il nostro farmaco sia in realtà “acqua fresca” e che il nostro risultato sia un errore? La risposta è semplice: il 5%. Se ripetessimo lo stesso esperimento nello stesso modo altre 100 volte, troveremmo che il farmaco funziona solo altre 5 volte.

Il limite del 5% non ha un significato particolare, ma è stato accettato dalla comunità scientifica come un buon compromesso tra il rischio di accettare risultati sbagliati e quello di non accettare risultati corretti perché non siamo abbastanza sicuri che non siano casuali. Non tutti i ricercatori sono completamente d’accordo su questo limite, c’è chi lo trova troppo rigido e chi troppo poco, ma è comunque universalmente accettato [9] [10].

Alla luce di quanto spiegato fino ad adesso, ne consegue che un singolo studio scientifico difficilmente rivoluzionerà il mondo, perché da solo non ci dice molto.

Avere ottenuto un risultato una volta non basta, le probabilità che questo sia frutto del caso o dell’estrema specificità delle condizioni in cui è stato trovato è ancora troppo alta. Per questo spesso gli studi vengono ripetuti con piccole variazioni nelle modalità e analizzando altri aspetti. Il nostro farmaco contro il raffreddore potrebbe essere studiato di nuovo su persone di un altro paese, oppure valutando il suo effetto rispetto ad altri farmaci per vedere se funziona meglio o peggio di questi. Col tempo, effetti e risultati trovati più e più volte si “sedimentano” nella conoscenza scientifica e iniziano ad essere accettati come validi ed affidabili, in un processo lento e non esente da errori (a volte risultati ritenuti validi vengono rivalutati e bisogna fare marcia indietro).

Quindi come possiamo muoverci di fronte alle prossime “sorprendenti” ricerche che incontreremo sui social?

Tutto questo non è riportato dalle riviste e dai giornali che non si occupano specificatamente di divulgazione scientifica; le testate giornalistiche generaliste risultano spesso molto carenti sulla capacità di informazione scientifica, supportando un’idea sbagliata del progresso scientifico.

Il singolo studio che viene riportato da questi brevi articoli magari ha prodotto questi risultati curiosi o stupefacenti che il giornale ci dice, ma il suo valore scientifico può essere valutato solo alla luce di tutta una serie di altri studi su argomenti simili che ci informano di quale sia la probabilità che questo sia giusto.

Si tratta del grande problema dell’informazione scientifica moderna: tante opinioni sbagliate su argomentazioni scientifiche nascono da persone che non comprendono fino in fondo come funziona il sistema di accumulo e accettazione delle conoscenze: prendono uno o due studi che dimostrano le loro convinzioni e si convincono di avere in mano delle verità inconfutabili. Ma nella scienza la certezza assoluta, in realtà, non esiste; esiste invece la ragionevolezza, lo scartare le ipotesi che non si dimostrano in linea con i dati ottenuti e il discutere solo di ciò che possa essere provato e analizzato.

Si tratta di un metodo difficile da capire per chi non ci ha mai avuto a che fare, al quale avvicinarcisi è fondamentale nella società moderna. Mai come al giorno d’oggi il progresso e la tecnologia hanno influenzato le vite degli esseri umani, non essere in grado di comprenderle può esporci a nuovi rischi e nuove incomprensioni. Inoltre, cosa non secondaria, posso assicurare che una volta capito fino in fondo si rimane estasiati dalla sua bellezza.

La scienza e il metodo scientifico, sono un discorso, un collaborare comune, un continuo scambio, la forma più alta e più bella di esperienza umana che sia mai stata pensata.

Andrea Crisafulli

Riferimenti:

1- https://supereva.it/hai-incontrato-quello-giusto-te-lo-dice-la-scienza-20445

2- https://www.cosmopolitan.com/it/lifecoach/a15920990/felicita-ricerca-scienza/

3- https://best5.it/post/leggere-il-pensiero-grazie-alla-scienza/

4- http://wordnetweb.princeton.edu/perl/webwn?s=Einstein

5- http://blog.cdnsciencepub.com/21st-century-science-overload/

6- https://www.researchgate.net/publication/229062236_Article_50_million_An_estimate_of_the_number_of_scholarly_articles_in_existence

7- https://www.nature.com/articles/35048669

8- Bolzani, R., & Canestrari, R. (1995). Logica del test statistico. Casa Editrice Ambrosiana.

9- https://www.jstor.org/stable/27701367?seq=1

10- http://www.barttorensma.nl/UserFiles/files/de%20geschiedenis%20van%20de%20P-waarde%281%29.pdf

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