Si può leggere nel pensiero?

telepatia
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Il professor Xavier è il capo degli X-Men, favoloso gruppo di super-mutanti creati da Stan Lee per la casa editrice Marvel. Il professore è un uomo tranquillo in sedia a rotelle che non ha i fenomenali poteri distruttivi dei suoi compagni come Wolverine e Tempesta. Nonostante questo, Xavier è il capo ed è anche uno dei mutanti più potenti; come mai? Perché lui è un telepate.

I telepati sarebbero individui capaci di leggere i pensieri delle altre persone e di “proiettare” i propri nelle menti altrui. Nella cultura di massa il concetto di telepatia si è diffuso non solo grazie ai fumetti dei supereroi e ad innumerevoli altri personaggi di fantasia, ma anche grazie a sedicenti maghi che proclamano di avere questo dono. Ma è davvero possibile la lettura nel pensiero tra esseri umani?

Nel presente articolo discuteremo di questa possibilità basandoci sulle moderne conoscenze della fisica e delle neuroscienze, mentre non verranno prese in esame eventuali affermazioni in merito al campo del paranormale e della parapsicologia. Per intenderci, niente energia psichica, proiezioni astrali o altro che non sia universalmente accettato in campo scientifico.

Tutto parte da un neurone

I pensieri nascono dal cervello. È difficile definire il rapporto tra il pensiero cosciente e l’attività del cervello, perché non è scontato che i processi di elaborazione di informazioni producano un pensiero cosciente. Tuttavia, per i nostri scopi possiamo ragionevolmente far coincidere questi due processi: partiremo quindi dall’assunto che se si conoscesse lo stato di tutte le cellule cerebrali in un dato momento si potrebbe risalire a cosa una persona sta pensando coscientemente.

Cominciamo parlando dell’attività cerebrale, che è costituita dalla comunicazione tra neuroni (le cellule cerebrali), capaci di ricevere uno stimolo e di produrre una risposta. Queste cellule possiedono questa importante capacità comunicativa in virtù del fatto che creano una differenza tra le cariche elettriche presenti al loro interno e nell’immediato esterno. Intorno ai neuroni e al loro interno possiamo infatti trovare degli ioni, atomi con delle cariche elettriche positive o negative. Tali cariche tenderebbero a diffondersi in maniera più omogenea possibile, ma, tramite complessi meccanismi cellulari, i neuroni mantengono certi ioni fuori ed altri dentro, creando la differenza di cariche elettriche.

I neuroni sono in grado di “ricevere segnali”. Esistono infatti delle molecole particolari chiamate neurotrasmettitori che si legano alla superficie di queste cellule. Quando questo avviene delle porticine si aprono e permettono agli ioni che erano fuori di entrare e a quelli dentro di uscire, cambiando il valore della differenza tra interno ed esterno.

La variazione avviene solo in una piccola porzione della cellula dove si sono legati i neurotrasmettitori, ma se la variazione delle cariche raggiunge una certa soglia si attivano meccanismi che permettono agli ioni di entrare anche in una porzione adiacente di neurone; in questo modo lo stesso meccanismo agirà per una porzione successiva e così via, creando una reazione a catena. L’effetto di questa reazione è che gli ioni entrano in porzioni sempre più lontane della cellula, fino a raggiungere le sue estremità, come un’onda che avanza fino ad infrangersi sulla battigia.

Quando il processo raggiunge l’estremità del neurone vengono liberati nuovi neurotrasmettitori che causeranno un processo simile in un altro neurone. Attraverso questo meccanismo le cellule sono in grado di trasmettere un segnale da una all’altra.

Ma gruppi di neuroni, collegati tra di loro secondo certe regole e attraverso meccanismi che facilitano o inibiscono questo processo, sono in grado non solo di trasmettere un segnale, ma anche di elaborarlo e trasformarlo [1]. Come abbiamo detto, l’attività dei neuroni che trasmettono ed elaborano segnali all’interno del cervello è probabilmente la manifestazione fisica del nostro pensiero.

Le forze in campo

I processi neurali avvengono all’interno del cranio, sotto diversi centimetri di pelle, ossa e meningi che proteggono il cervello, tuttavia i loro effetti possono essere registrati dall’esterno. Abbiamo visto che la propagazione del segnale lungo il neurone e tra un neurone e l’altro avviene tramite lo spostamento di molecole con una carica elettrica (gli ioni). La presenza di cariche elettriche causa la presenza di un campo elettrico (che è ciò che attrae e allontana le particelle tra loro) che si modifica con lo spostamento delle cariche stesse; qualunque spostamento di cariche ha inoltre come conseguenza la creazione di un campo magnetico per effetto di un fenomeno noto come “induzione elettromagnetica” [2]. Questi due fenomeni sono intimamente correlati e si può parlare, per semplicità, di campo elettromagnetico che comprende entrambi.

Il campo elettromagnetico legato alla presenza e allo spostamento di ioni nel nostro cervello ha la caratteristica di non essere totalmente bloccato dal cranio e dunque può in effetti essere registrato dall’esterno.

Il sesto senso

Gli esseri umani non sono in grado di percepire questo tipo di campi (all’infuori della luce visibile che ha però livelli di energia molto più elevati), ma alcuni animali invece sì, in un fenomeno conosciuto come elettroricezione. Squali, api e anche alcuni mammiferi possiedono organi particolari che li rendono capaci di percepire i campi elettromagnetici e sfruttano questa capacità per individuare prede e oggetti o per orientarsi nello spazio [3].

Facciamo allora un’ipotesi fantasiosa: un essere umano con capacità di elettroricezione potrebbe sentire i pensieri degli altri?

La risposta, a mio avviso, è no. Innanzitutto va detto che l’elettroricezione funziona meglio in acqua salata, che è un conduttore migliore dell’aria (difatti è più comune nei pesci che nei mammiferi) e in ogni caso l’attività cerebrale produce campi decisamente troppo deboli per riuscire a distinguerli in maniera chiara. Il solo campo elettromagnetico dovuto ai movimenti dei nostri muscoli (che funzionano anche questi tramite lo spostamento di ioni) sarebbe una grossa fonte di rumore, senza contare altri fattori come la presenza di altri animali e di tutte le apparecchiature elettroniche che ci circondano, che generano anch’esse campi elettro-magnetici.

Ma ammettiamo di possedere un organo elettroricettore abbastanza sensibile da percepire l’attività neurale degli altri e poniamo che, in qualche modo, riesca anche ad ignorare il “rumore” generato da tutte le altre fonti di campi nell’ambiente. Potremmo finalmente leggere nella mente altrui? Purtroppo incontriamo un ulteriore limite. Avere un’idea dell’attività delle cellule cerebrali non significa capire cosa quell’attività voglia dire; sarebbe come voler capire cosa c’è sullo schermo di un computer ascoltando il rumore che viene dalla CPU. Per avere una speranza di “decifrare” il significato delle comunicazioni interne del cervello bisognerebbe quantomeno conoscere la posizione delle cellule che si attivano (che sono a milioni in ogni istante). Ciò va molto oltre la capacità di qualunque elettroricettore biologico. Al massimo, un essere umano con organi sensibili ai campi elettrici potrebbe “sentire” la presenza di altre persone, così come alcuni animali usano questa capacità per trovare prede e forse capire se una persona dorme, è rilassata o è concentrata. Poca roba insomma rispetto all’obiettivo che ci eravamo posti!

La lettura nel pensiero è quindi impossibile per una serie di limitazioni; per lo meno, è impossibile che possa avvenire attraverso capacità puramente biologiche.

Usando strumenti tecnologici invece? Ecco, in questo caso abbiamo avuto in tempi recenti degli sviluppi interessanti. Vediamo quali.

Neuro-telepati

La registrazione dei segnali indirettamente prodotti dall’attività cerebrale con lo scopo di comprenderne i meccanismi sottostanti è la base delle neuroscienze cognitive. Possiamo dire quindi che gli scienziati stiano provando già da qualche decennio a leggere nel pensiero della gente. Il processo usato in questo caso però è inverso: si chiede alle persone di fare qualcosa che richieda un certo tipo di pensiero e in questo modo si ricostruisce il significato dell’attività registrata. Ad esempio, si chiede di eseguire alcuni calcoli a mente e si registra la variazione del campo elettromagnetico conseguente (poiché gli strumenti che si usano per “sentire” la variazione elettromagnetica nel cervello hanno molti ricettori posizionati direttamente sulla testa, si può capire da che zona del cervello venga il segnale, il che già è più utile di sentire indistintamente tutto il cervello; inoltre, utilizzano degli amplificatori che permettono di notare variazioni deboli). Il risultato che si ottiene con questa tecnica è conoscere il “segnale medio” che sottende ad un’operazione mentale. Non è scontato, tuttavia, né che registrare un segnale uguale in un singolo individuo voglia dire che quella persona stia eseguendo dei calcoli mentali, né che se un individuo stia realmente eseguendo dei calcoli, il segnale sia uguale al nostro segnale medio. Va detto, inoltre che le capacità di risoluzione dei nostri strumenti sono ancora molto basse. Per il momento possiamo registrare l’attività cerebrale in maniera grossolana, con risoluzioni massime di alcuni millimetri: troppi se si confrontano con le grandezze microscopiche dei corpi cellulari. Quindi nelle neuroscienze c’è una registrazione del pensiero umano, che però non possiamo definire “telepatia” per come la intendiamo nel senso comune. Ma qualche ricercatore si è spinto un tantino oltre e ha condotto degli esperimenti che vanno nella direzione di una vera e propria telepatia.

Lo muovo col pensiero

Sono diversi i casi di persone paralizzate che hanno accettato di farsi impiantare degli elettrodi nel cervello da cui possono controllare “con il pensiero” degli arti robotici [4]. In maniera simile, alcune persone tetraplegiche sono riuscite a comandare “con la mente” un cursore attraverso il quale hanno potuto scrivere delle parole su una tastiera virtuale alla velocità di 8 parole al minuto [5]. Questi risultati potranno meravigliare chi non è pratico di neuroscienze, ma in realtà si tratta della tecnologia più facile da sviluppare nel campo delle interfacce mente-computer. Nel cervello possediamo infatti dei neuroni che controllano direttamente i movimenti muscolari e chiamiamo motoneuroni [1]. Un piccolo gruppo di motoneuroni che si attiva porta ad un movimento di un muscolo specifico ed è quindi relativamente facile mappare la corrispondenza neuroni-muscoli e insegnare ad una macchina a rispondere come farebbero braccia e gambe reali o associare certe attività ai movimenti di un mouse virtuale; la persona che utilizza questa tecnologia, poi, non deve fare altro che provare a muoversi come se non fosse paralizzata per vedere gli effetti del suo pensiero sul mondo reale (o virtuale nel caso del cursore comandato col pensiero). Si tenga conto, però, che per registrare l’attività dei motoneuroni occorre impiantare elettrodi direttamente nel cervello, cosa non semplice né priva di rischi.

La forza delle onde

Cosa si può fare per comandare delle macchine con la mente senza aprire prima il cranio di qualcuno? Come abbiamo detto in precedenza, disponiamo già di metodi per leggere l’attività cerebrale ma si tratta ancora di misure grossolane. Nonostante questo, possono essere sufficienti per avere interazioni mente-computer attraverso il pensiero. L’attività elettromagnetica del cervello è un segnale complesso che non ci dà informazioni precise sui circuiti di neuroni attivi, ma è in grado di dirci con una buona approssimazione lo stato generale della nostra attività cerebrale: se ci rilassiamo o dormiamo l’attività sarà caratterizzata da onde a ritmi lenti, se ci concentriamo aumenterà la presenza di segnali ad alta frequenza. In particolare, una certa fascia di frequenza delle onde cerebrali, chiamata ritmo alfa (8-13 Hz), può essere sfruttata facilmente perché è facile controllarla volontariamente attraverso l’attenzione. Questa variazione registrabile è sufficiente per codificare messaggi che possano facilmente essere letti da un computer, come ad esempio il codice morse [6]. Questo sistema era già stato individuato negli anni ’60, col tempo siamo riusciti a raggiungere livelli maggiori di precisione per cui si può usare per discriminare l’area del cervello da cui deriva la variazione del segnale elettromagnetico.

In uno studio del 2014 è stato possibile usare come input le variazioni prodotte da aree specifiche della corteccia motoria (che ricordiamo è la più facile da mappare) in modo che il soggetto di cui si registrava l’attività cerebrale potesse mandare messaggi immaginando di muovere una mano o un piede [7]. Si tratta di risultati notevoli tenendo conto di quanto poco ancora conosciamo il cervello, ma non possiamo dire che si tratti propriamente di lettura nel pensiero. I soggetti in questi studi sceglievano di mandare un segnale che non era legato strettamente al contenuto dei loro pensieri; possiamo dire che abbiano “premuto un pulsante” con la mente piuttosto che usare il dito.

So quel che vedi

Esiste anche un’altra corrente di ricerche che possiamo in qualche modo assimilare alla lettura nel pensiero. Mentre nelle ricerche di cui abbiamo parlato fino ad ora ci si è concentrati sull’attività dei motoneuroni, altri studi hanno cercato di decodificare l’attività dei neuroni visivi, cioè quelli che ricevono le informazioni nervose in arrivo dai nostri occhi.

Come i motoneuroni più semplici sono associati ai movimenti di muscoli precisi, l’attività dei neuroni visivi più semplici è associata a specifiche zone del campo visivo. Semplificando in maniere estrema, immaginiamo di essere in una stanza completamente buia e quindi di non vedere nulla, tutti i nostri neuroni visivi saranno silenti (non si verificherà quella reazione a catena che abbiamo spiegato all’inizio dell’articolo); all’improvviso una piccola lucina si accende alla nostra destra e poi si spegne di nuovo e per un breve istante un piccolo gruppo di neuroni visivi nel nostro cervello si attiverà di conseguenza. Quali si attivino, dipenderà dalla posizione della luce: se dovesse ricomparire nella stessa identica posizione (ovviamente rispetto al nostro campo visivo) andrà ad attivare gli stessi neuroni di prima. Se invece nel frattempo abbiamo girato la testa e dunque la luce si trova a sinistra rispetto a noi, i neuroni attivati saranno diversi [1].

In ogni caso, visto che esiste una struttura “spaziale” dei neuroni visivi, conoscendo la posizione di quelli più e meno attivi si può in teoria ricostruire quello che una persona sta vedendo. E non solo in teoria, c’è già chi ha provato a farlo nella pratica sfruttando la risonanza magnetica funzionale: un macchinario che è in grado di ricostruire l’attività cerebrale usando un principio diverso da quello elettromagnetico visto fino ad ora. La risonanza magnetica funzionale (fMRI) permette infatti di capire in quali aree del cervello sia più o meno presente sangue ossigenato, la cui presenza è un segnale indiretto dell’attività delle cellule.

Sebbene il segnale della fMRI sia abbastanza impreciso sia da un punto di vista spaziale che temporale rispetto alle dimensioni e alla velocità di risposta delle cellule cerebrali, è stato mostrato che è possibile usarlo per ricostruire ciò che una persona sta vedendo. La procedura per farlo è solitamente questa: si registra l’attività cerebrale di una persona mentre gli si mostrano una serie di immagini e si “addestra” un computer ad associare l’immagine mostrata al pattern di attivazione corrispondente, questa fase viene chiamata training. A questo punto si mostra una nuova immagine, mai mostrata nel training e si registra l’attività del cervello mentre la vede; si chiede allora al computer di ricostruire l’immagine nuova sulla base del suo addestramento (facendo una media delle immagini che considera più probabili). Questa tecnica è stata usata sia con immagini molto semplici (quadratini bianchi e neri) [8] che con altre complesse (filmati con persone, oggetti e paesaggi) [9] con risultati promettenti. Sia chiaro, non significa che l’immagine sia stata ricostruita con precisione; infatti, soprattutto per le immagini complesse si parla al massimo di luci e ombre, ma che danno una vaga idea dei bordi e del contrasto nell’immagine di partenza.

Anche in questo caso possiamo notare che non si tratta strettamente di lettura nel pensiero, perché si basa sulla lettura di una corteccia sensoriale primaria (cioè che elabora il segnale che viene direttamente dai sensi e non da altre parti del cervello) e quindi risulta più una lettura dello stimolo sensoriale. Però, quando immaginiamo qualcosa nella nostra testa in maniera vivida, il cervello si attiva in maniera simile a quando le cose le vediamo direttamente [10] ed è possibile, dunque, che una tecnica simile possa essere utilizzata per ricostruire le immagini mentali. E in effetti qualcuno ha tentato una procedura simile per i sogni. Quattro ricercatori giapponesi [11] hanno pensato un complesso esperimento per “vedere” nei sogni delle persone. Innanzitutto hanno fatto addormentare i soggetti nella macchina della risonanza magnetica funzionale svegliandoli dopo alcuni minuti di sonno e chiedendo loro di riportare a parole cosa stessero sognando. Hanno quindi classificato le risposte date dai soggetti in categorie semantiche (ad esempio “una casa” e “un hotel” rientrano nella categoria “edifici”). In un secondo momento hanno registrato il segnale della fMRI fatta sugli stessi soggetti mentre questi guardavano immagini che ritraevano oggetti simili a quelli da loro riportati (edifici, macchine, persone, ecc.). A questo punto, addestrando il computer con i dati ottenuti facendo guardare le immagini ai soggetti svegli, si è provato a fargli “indovinare” che cosa avessero riportato le persone rispetto ai sogni, in base al tracciato di risonanza magnetica mentre dormivano. Per semplificare le cose al computer non si è chiesto di ricostruire il contenuto del sogno tra tutti i possibili, ma di indovinare tra due.

Il computer ha dimostrato un’accuratezza del 60%, niente di eccezionale, ma superiore al puro caso (come sarebbe stata un’accuratezza del 50%). Va detto che questo studio, più che un tentativo di ricostruire i sogni, era un modo per dimostrare che quando sogniamo attiviamo il cervello in modo simile a quando vediamo realmente qualcosa e da questo punto di vista il risultato ottenuto sembra abbastanza convincente.

La vocina dentro di noi

Ma per quanto riguarda la lettura nel pensiero propriamente detta, in cui si “ascolta” quello che una persona sta pensando, non sono mai stati fatti degli studi? Ecco, in realtà sì. Effettivamente qualcuno [12] ha provato a utilizzare il segnale elettromagnetico del cervello per discriminare quali parole stessero pensando i partecipanti dell’esperimento.

In realtà più che le parole che pensavano, hanno provato a identificare delle sillabe: è stato chiesto ai partecipanti che si sono sottoposti allo studio di immaginare di pronunciare la sillaba “ba” o la sillaba “ku” in diverse prove, il tutto mentre l’attività elettromagnetica dei loro cervelli veniva registrata. Si è provato, quindi, a discriminare la sillaba che stessero pensando utilizzando il tracciato della prova corrispondente (un po’ come negli studi sulle immagini visive). Il risultato in questo caso è stato deludente in quanto gli autori ammettono che non è stato possibile classificare correttamente i tracciati più del 50% delle volte (essendo due sillabe possibili, equivale a rispondere a caso).

Operando una procedura di esclusione ed utilizzando solo i tracciati meno “rumorosi” è stato ottenuto un livello di correttezza delle classificazioni migliore, arrivando al 60%. Va detto, però, che i tracciati meno rumorosi identificati dagli autori dello studio erano decisamente una minoranza, da 1680 prove, infatti, ne sono state mantenute 85 (il 5%). Se pensiamo che i tracciati dell’elettroencefalografia usati nell’esperimento sono stati ottenuti in situazioni controllate, riducendo al minimo luci e suoni nell’ambiente esterno, possiamo capire quanta distanza ci sia tra questi primi risultati e una lettura nel pensiero reale.

E dunque?

In sostanza, questo è ciò che di più vicino esista alla telepatia allo stato attuale della ricerca. È molto o è poco? Dipende in che ottica vediamo la cosa. Se ci pensiamo tenendo conto delle attuali conoscenze sul cervello, si tratta, in alcuni casi, di risultati molto promettenti e che hanno delle buone potenzialità nella ricerca futura. Se invece vogliamo chiederci quanto questi ci avvicinino a delle macchine che permettano di sentire i pensieri altrui o addirittura di indagare le memorie e i sogni di un’altra persona, siamo ancora molto lontani.

Come abbiamo già detto, i nostri strumenti per registrare ed analizzare l’attività dei neuroni sono ancora troppo grossolani, ingombranti o invasivi. La risonanza magnetica funzionale, per dirne una, permette una ricostruzione interessante di ciò che vediamo, ma si tratta di una macchina grande quanto una stanza, parecchio rumorosa e che per funzionare deve creare un forte campo magnetico dentro cui far entrare il soggetto. Degli elettrodi impiantati direttamente nel cervello sarebbero più precisi e meno costosi, ma richiedono di aprire il cranio di una persona, impiantarli e richiuderlo, il tutto senza causare danni ad un organo delicatissimo. Non scordiamo, inoltre, che tutti i metodi usati richiedono un periodo di “addestramento” del sistema, in cui il computer che governa la decodifica dei segnali cerebrali deve imparare come risponde il cervello in questione a degli stimoli noti. Non si può quindi trasportare il vocabolario di risposte neurali da una persona all’altra, il significato delle attivazioni è strettamente personale (e probabilmente variabile nel tempo). Qualunque tecnologia in tale senso dovrebbe quindi essere tarata ad hoc per ogni soggetto che la utilizza, in condizioni controllate per evitare interferenze di sorta.

Negli ultimi anni, alcune importanti aziende di tecnologia hanno annunciato di aver iniziato a lavorare su interfacce mente-computer molto avanzate, tanto da spingersi ad affermare che tra una decina di anni disporremo di strumenti per dettare messaggi al nostro smartphone tramite il pensiero, se non addirittura che potremo mandare informazioni direttamente da una mente all’altra . Questi annunci non sono credibili poiché richiederebbero conoscenze o tecnologie particolarmente più avanzate di quelle qui descritte di cui al momento non disponiamo, né le compagnie in questione ne hanno mostrate altre promettenti in sviluppo (al momento non hanno mostrato nulla in realtà) [13]. Ciò però non significa che la telepatia sia irrealizzabile! Anzi, alla luce di quanto detto non possiamo assolutamente escluderla in un futuro, che però al momento appare ancora molto lontano.

Il grosso ostacolo per una tecnologia del genere resta, per adesso, la nostra capacità di leggere l’attività cerebrale. Finché non sviluppiamo modi radicalmente nuovi e poco invasivi per spiare i neuroni mentre lavorano non saremo in grado di sviluppare nulla in grado di leggere i nostri pensieri. E non possiamo neanche escludere che, in futuro, quando possiederemo tecnologie con la capacità di registrare facilmente e con precisione l’attività del cervello non ci troveremo di fronte a nuovi ostacoli che si frapporranno tra noi e la telepatia. Potremmo scoprire che i neuroni e i pensieri non combaciano come pensavamo e dovremmo riuscire a risolvere il complicato enigma della coscienza prima di avere qualcosa che possa leggere la nostra mente come un libro stampato. Forse la telepatia rimarrà per sempre una cosa confinata alle nostre opere di fantasia.

Il punto è che il rapporto tra noi e il nostro cervello è ancora all’inizio del percorso e abbiamo tantissima strada da fare prima di poter dare risposte certe a dubbi come questo e ad altri molto più seri. E chissà se andando avanti troveremo davvero risposte e meraviglie o solo nuovi misteri ed orrori.

Andrea Crisafulli

Un ringraziamento a Chiara Ruva, Francesco Di Gregorio e Mattia Pietrelli per il loro contributo.

Per approfondire:

Shure, C. (2018). Brain Waves, A Cultural History: Oscillations of Neuroscience, Technology, Telepathy, and Transcendence (Doctoral dissertation, Columbia University). PDF scaricabile da Columbia.edu

Bibliografia

1- Gazzaniga, M. S., Ivry, R. B., Mangun, G. R., Zani, A., & Proverbio, A. M. (2015). Neuroscienze cognitive. Zanichelli.

2- https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Faraday

3- https://it.wikipedia.org/wiki/Elettroricezione#:~:text=L’elettroricezione%20%C3%A8%20la%20capacit%C3%A0,ornitorinchi)%2C%20scarafaggi%20e%20api.

4- https://www.technologyreview.com/2014/06/17/172276/the-thought-experiment/

5- Jarosiewicz, B., Sarma, A. A., Bacher, D., Masse, N. Y., Simeral, J. D., Sorice, B., … & Cash, S. S. (2015). Virtual typing by people with tetraplegia using a self-calibrating intracortical brain-computer interface. Science translational medicine, 7(313), 313ra179-313ra179. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4765319/ )

6- Dewan, E. M. (1967). Occipital alpha rhythm eye position and lens accommodation. Nature, 214(5092), 975-977.

7- Grau, C., Ginhoux, R., Riera, A., Nguyen, T. L., Chauvat, H., Berg, M., … & Ruffini, G. (2014). Conscious brain-to-brain communication in humans using non-invasive technologies. PloS one, 9(8). (https://journals.plos.org/plosone/article/file?type=printable&id=10.1371/journal.pone.0105225 )

8- Miyawaki, Y., Uchida, H., Yamashita, O., Sato, M. A., Morito, Y., Tanabe, H. C., … & Kamitani, Y. (2008). Visual image reconstruction from human brain activity using a combination of multiscale local image decoders. Neuron, 60(5), 915-929. (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0896627308009586 )

9- Nishimoto, S., Vu, A. T., Naselaris, T., Benjamini, Y., Yu, B., & Gallant, J. L. (2011). Reconstructing visual experiences from brain activity evoked by natural movies. Current Biology, 21(19), 1641-1646. (https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0960982211009377 )

10- Albers, A. M., Kok, P., Toni, I., Dijkerman, H. C., & De Lange, F. P. (2013). Shared representations for working memory and mental imagery in early visual cortex. Current Biology, 23(15), 1427-1431.

11- Horikawa, T., Tamaki, M., Miyawaki, Y., & Kamitani, Y. (2013). Neural decoding of visual imagery during sleep. Science, 340(6132), 639-642.

12- Brigham, K., & Kumar, B. V. (2010, June). Imagined speech classification with EEG signals for silent communication: a preliminary investigation into synthetic telepathy. In 2010 4th International Conference on Bioinformatics and Biomedical Engineering (pp. 1-4). IEEE.

13- https://www.technologyreview.com/2017/04/22/242999/with-neuralink-elon-musk-promises-human-to-human-telepathy-dont-believe-it/

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