All’estremità superiore del nostro corpo c’è un organo sempre attivo ed affamato: il cervello. Considerati gli innumerevoli compiti che presiede, il cervello necessita di nutrimento costante: ha bisogno di ossigeno, senza il quale nessuna cellula riuscirebbe a svolgere adeguatamente il proprio lavoro. In questa meravigliosa e laboriosa macchina umana il sangue è la via che permette all’ossigeno, e a tutte le sostanze nutritive, di raggiungere il tessuto cerebrale. Senza sosta, circa 750 ml di sangue arrivano ogni minuto al nostro organo pensante per soddisfare tutte le sue cellule.
Il problema, tuttavia, sorge quando il sangue, durante il suo naturale percorso, incontra un ostacolo qualsiasi che gli impedisce di arrivare a destinazione nelle giuste quantità. L’ostacolo prende il nome di vasculopatia. Con questo termine ci si riferisce ad una qualsiasi anomalia dei vasi sanguigni che può comportare un deficit nella capacità dello specifico vaso (arteria) di portare sangue ai tessuti.
A livello del sistema nervoso centrale, l’esito pericoloso di un danno vascolare è l’ictus. Nello specifico, per ictus (in inglese stroke) si intende “un deficit neurologico a insorgenza acuta, con una disfunzione focale (che riguarda la piccola area coinvolta) o globale (deficit generali non imputabili ad una sola regione cerebrale) e sintomi presenti per più di 24 ore” (Bergamasco & Mutani, La Neurologia di Bergamini)Parlare di questa patologia è importantissimo in quanto è tra le prime cause di morte nel mondo. Secondo il razionale del 2019 dell’ISO (Italian Stroke Organization), in Italia l’anno scorso ci sono stati 200.000 nuovi casi di ictus, di cui, purtroppo, il 20% ha portato a morte. Va considerato che l’innalzamento dell’età media di vita ha concesso un aumento del numero di anziani, e con esso anche delle malattie cardiovascolari (https://www.iso-stroke.it/).
Ictus ischemico
Come già accennato, l’ictus è un evento traumatico, ovvero improvviso, che consegue ad un danno vascolare che invece può essersi aggravato nel tempo. Immaginiamo il nostro cervello nelle sembianze di un bellissimo ciclamino, o qualsiasi altro fiore vi piaccia. Ha bisogno di acqua, in modo costante e puntuale, così come il nostro cervello ha bisogno di sangue ossigenato. Se l’innaffiatoio, per mille motivi, avesse un’ostruzione interna, passerebbe meno acqua. Se l’ostruzione fosse grande, e spesso nelle nostre arterie purtroppo capita, il passaggio sarebbe completamente interrotto. Il fiore attingerà a tutte le proprie riserve, adattandosi alla nuova carenza di nutrimento. In alcuni casi fortunati è possibile accorgersi dell’ostruzione prima che il fiore appassisca. Questo capita anche per il nostro cervello grazie al fenomeno della compensazione: in presenza di un vaso ostruito, il sangue arriva comunque attraverso altre vie libere. Il sistema, tuttavia, non può resistere per molto tempo, soprattutto in rapporto all’ostruzione che può diventare sempre più ingombrante. Nei casi peggiori si verifica quello che prende il nome di ictus ischemico. Una zona del cervello non è più raggiunta dalla giusta quantità di ossigeno. Data la caratteristica principale, ovvero l’interruzione della vascolarizzazione in una sede del cervello, l’ictus ischemico è anche chiamato infarto cerebrale. È il tipo di ictus più frequente e riguarda, infatti, l’80% dei casi. Spesso la causa è l’ipertensione che può portare ad una sofferenza dei grossi o dei piccoli vasi. Nel caso dei grossi vasi, il fenomeno prende il nome di aterotrombosi: il condotto dell’arteria si restringe, a causa per esempio di un embolo oppure della formazione di placche. Nel caso di piccoli vasi si parla di infarto lacunare, perché la zona compromessa è più piccola.
Ictus emorragico
Se la carenza di sangue può portare alla sofferenza di un’area cerebrale, altrettanto pericolosa è una quantità esagerata, esito della rottura stessa di un’arteria. Tornando alla similitudine del fiore e dell’innaffiatoio: se lasciassimo cadere troppa acqua, oppure il beccuccio dell’innaffiatoio si rompesse, inevitabilmente la radici marcirebbero. Lo stesso fenomeno accade nell’ictus emorragico, che si verifica nel 20% dei casi totali di ictus. In questo caso il vaso sanguigno, per vari motivi, tra cui ipertensione o aneurisma, si rompe. Il tessuto cerebrale è invaso da una quantità eccessiva di sangue che porta alla morte della regione stessa.
I fattori di rischio sono sicuramente l’età e il sesso: l’incidenza è alta in età avanzata e gli uomini sono generalmente più colpiti. In menopausa, tuttavia, aumenta anche l’incidenza femminile (viene a mancare l’azione protettiva svolta dagli estrogeni). C’è una buona dose di predisposizione genetica. Altre volte, per l’ictus emorragico, la causa può essere un trauma cranico.
Potremmo, quindi, chiederci: cosa possiamo fare per invertire la rotta? Fortunatamente, abbiamo tanto potere. Se in quantità eccessive, per esempio, il colesterolo può pericolosamente depositarsi nelle pareti arteriose: l’alimentazione equilibrata e l’attività fisica possono salvarci!
E poi, naturalmente, l’abuso di alcol, il fumo e l’obesità sono tutti fattori di rischio. Infine, è buona pratica fare controlli periodici della pressione arteriosa.
A seconda dell’area colpita, l’ictus può portare a paralisi o deficit sensitivi di una parte del corpo, oppure disturbi dell’equilibrio. Quando il danno comprende le funzioni vitali (respirazione e ritmo cardiaco) l’esito è più grave.
Solo per l’ictus emorragico esistono dei “sintomi sentinella”: cefalea violente ed improvvisa, anomalie importanti della vista. In alcuni casi possono verificarsi crisi epilettiche e rigidità della nuca.
Oggi, possiamo contare su moltissime terapie farmacologiche ed accurati interventi chirurgici che possono prevenire le gravi conseguenze del fenomeno. Un esempio è la tromboectomia meccanica: uno strumento che consente di eliminare manualmente il trombo, liberando il vaso. In tutti i casi, le terapie che avvengono in fase acuta (entro 4-5 ore dalla comparsa dei sintomi) sono quelle che aumentano esponenzialmente le possibilità di guarigione.
Infine, la fase più lunga, ma anche quella che impatta maggiormente sulla qualità di vita del soggetto colpito da ictus, è la riabilitazione post-ictus. Moltissime professioni si inseriscono in questo quadro: fisiatri, fisioterapisti, logopedisti, infermieri professionali, assistenti sanitari e neuropsicologi. Lo scopo principale è intervenire precocemente su quelle aree cerebrali attorno al danno che sono state danneggiate, ma non del tutto distrutte. Il nostro cervello è grandioso, ed è disposto a svolgere sforzi intensi pur di non perdere una funzionalità. Per farlo, tuttavia, ha bisogno di essere stimolato esternamente, attraverso esercizi cognitivi, di mobilitazione, eccetera. È un po’ come accade quando stacchiamo le foglie secche da una pianta e la cingiamo ad un bastoncino di legno per supportarla quando è debole. La liberiamo da quello che è morto, le forniamo sostegno, e al tempo stesso le diamo tempo e possibilità per rinvigorirsi.
La ricerca in medicina progredisce, ci apre nuovi percorsi di prevenzione e di cura. D’altra parte, il progresso scientifico è nulla se non accompagnato dall’informazione consapevole e lucida. Abbiamo il dovere di fornire tutta la cura che possiamo al nostro corpo sfruttando il sapere della scienza e, ancora prima, appellandoci all’attaccamento alla vita. Come già accennato, ci sono condizioni biologiche e predisposizioni genetiche su cui non possiamo intervenire in nessun modo, tuttavia il rischio di ammalarsi non dipende solo da queste. E quando scopriamo quanto potere c’è nei nostri comportamenti e nello stile di vita che conduciamo, non possiamo più concederci superficialità nelle scelte quotidiane.
Marina Cariello
Bibliografia:
Bergamasco B. & Mutani R. La neurologia di Bergamini. Edizioni Libreria Cortina, Torino: 2007.