1+1=3: La transizione alla genitorialità

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La nascita di un figlio o una figlia è un evento emozionante che comporta una serie di importanti cambiamenti per la coppia. Si può affermare, tuttavia, che già dalla comparsa del desiderio di allargare la famiglia emergono aspettative e previsioni su quello che sarà il nuovo assetto familiare e, di conseguenza, sui cambiamenti nel modo di vivere la relazione affettiva. 
Essere consapevoli del motivo per il quale si desidera un figlio o una figlia è il primo passo per affrontare al meglio il percorso verso la genitorialità: in alcuni casi, infatti, il motivo può essere il completamento di una relazione soddisfacente; in altri, il tentativo di superare una crisi o di rispondere a un mandato sociale. In genere, una coppia che precedentemente è riuscita a raggiungere un buon equilibrio ha maggiori possibilità di affrontare l’arrivo di un figlio o una figlia senza mettere in crisi se stessa. Viceversa, nel caso di un rapporto disfunzionale, c’è la possibilità che si vada incontro ad ulteriori problemi nel tentativo di conciliare le esigenze del neonato o della neonata con quelle della coppia. Uno studio1 ha rilevato la presenza di livelli di conflittualità più elevati dopo la nascita del bambino o della bambina in coppie che riferivano maggiori difficoltà nella gestione dei conflitti precedenti alla gravidanza.

Le trasformazioni a cui la coppia va incontro dopo la nascita di un figlio o una figlia portano i partner a dover ridefinire alcuni aspetti del loro rapporto. Non si è più soltanto compagni ma anche genitori ed è necessario riuscire a conciliare entrambi i ruoli, dando vita ad una nuova identità individuale e di coppia.

Diventare genitore, infatti, comporta l’acquisizione di un nuovo ruolo, e quello di padre o madre va ad aggiungersi, non a sostituirsi, agli altri già acquisiti: figlio/a, fratello/sorella, studente/ssa, lavoratore/rice, etc.   
Questo significa andare incontro a una ristrutturazione dell’immagine che i neo-genitori hanno di se stessi: una rivoluzione che influenza ogni ambito della propria vita.

In questo percorso è importante il dialogo: diventa fondamentale trovare spazio e tempo per permettere ad ognuno dei due partner di condividere i propri pensieri, le proprie difficoltà e paure affinché vengano riconosciuti ed elaborati.
Mantenere attivo il confronto e concedersi la possibilità di chiedere aiuto quando se ne sente il bisogno sono accorgimenti importanti per gestire al meglio la fatica richiesta dal nuovo ruolo. In questo modo la coppia potrà ritrovare o consolidare la propria complicità e ognuno potrà sentirsi fondamentale nel processo di allargamento della famiglia.   

Per molto tempo gli studi sull’attaccamento hanno limitato il loro interesse alla coppia madre-bambino/a, occupandosi di approfondire il ruolo della donna nel percorso di crescita dei figli. Solo più recentemente è stata valorizzata la funzione del padre nel sistema familiare, riconoscendone specifici contributi.

Nel periodo perinatale, uno dei momenti di massima esposizione allo stress per la madre, il padre assumerebbe una funzione protettiva e di contenimento emotivo nei confronti della partner. Inoltre, si occuperebbe di favorire e tutelare la relazione madre-bambino/a (in questo momento solitamente più esclusiva per esigenze fisiologiche del neonato) dedicandosi anche alle questioni di vita più pratiche: garantire una casa comoda e sicura, procurare i beni necessari, proteggere il nucleo familiare nel rapporto con l’ambiente.
Successivamente, la figura paterna assumerebbe due principali funzioni educative: incoraggiare e rassicurare. Il padre, infatti, favorirebbe nel figlio o nella figlia l’assunzione di comportamenti esplorativi per sganciarsi progressivamente dalla madre nel tentativo di permettere al bambino o alla bambina di acquisire autonomia e, contemporaneamente, faciliterebbe lo sviluppo di una buona gestione emotiva.2

Alcuni studi hanno dimostrato che non esistono significative differenze tra uomini e donne nelle abilità necessarie alla cura dei bambini. Pertanto, la suddivisione delle attività e dei compiti di cura e di educazione tra i genitori ha una variabilità molto ampia a seconda delle famiglie e della loro organizzazione e spesso i genitori tendono ad assumere ruoli complementari.3  Considerare alcuni compiti come specificatamente materni o paterni è un’eredità culturale che condiziona tuttora il modo di occuparsi dei figli, tuttavia si sta andando incontro, di pari passo a quelle sociali, a importanti modifiche: assistiamo alla definizione di una nuova identità paterna che si contrappone alla visione tradizionale nel tentativo di rendersi maggiormente coinvolta e di creare un più funzionale equilibrio.4

“Generare un figlio non significa già essere madri o padri. Ci vuole sempre un supplemento ultra-biologico, estraneo alla natura, un atto simbolico […]” scrive Massimo Recalcati, psicoanalista, saggista e accademico italiano, indicando quanto genitorialità e generatività siano due aspetti strettamente legati fra loro, ma molto diversi. Con generatività si intende la capacità di procreare, la genitorialità richiama invece i processi interiori della progettualità di avere dei figli e il loro accudimento. La seconda, quindi, può seguire la prima, ma non necessariamente.          
La transizione ad una genitorialità responsabile passa, quindi dalla consapevolezza della differenza fra questi due aspetti: diventare genitori ed essere genitori.

Jasmine Gerini

Bibliografia

1Kluwer, E. S., & Johnson, M. D. (2007). Conflict frequency and relationship quality across the transition to parenthood. Journal of marriage and family69(5), 1089-1106.

2Baldoni, F. (2005). Funzione paterna e attaccamento di coppia: l’importanza di una base sicura. Padri & paternità, Edizioni Junior, Bergamo, 79-102.

3Labbrozzi, D. (2005). Caro papà: il ruolo del padre nello sviluppo psicologico del bambino. Psicologia Psicoterapia e Salute11(3), 395-432.

4Ammaniti, M. (2008). Pensare per due. Nella mente delle madri. Laterza.

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