LA FELICITÀ: PARLIAMONE!

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Ogni essere umano, almeno una volta nella propria vita, si ritrova a riflettere sul significato della felicità. Oppure magari non ci si sofferma mai. Perché crediamo di non meritarla. O perché siamo troppo impegnati ad essere felici per ricordarci di rifletterci su.

Non per niente, lo scrittore Kurt Vonnegut conosce bene i pericoli dell’oblio, esortandoci: “Quando siete felici, fateci caso”. In questa raccolta di alcuni suoi discorsi, Vonnegut ha celebrato il trionfo degli attimi felici:

“Mio zio Alex Vonnegut mi insegnò una cosa molto importante. […] Quando le cose stanno andando a gonfie vele bisogna rendersene conto. Parlava di occasioni molto semplici, non di grandi trionfi. Bere un bicchiere di limonata all’ombra di un albero, magari, sentire il profumo di una panetteria, […], o oserei dire, l’attimo dopo un bacio. Mi diceva che era importante, in quei momenti, dire ad alta voce: «Cosa c’è di più bello di questo?»”

Ma cos’è la felicità?

Per lo psicologo americano Martin Seligman, la felicità è provare emozioni positive riguardo al passato e al futuro, assaporare i piaceri della vita e, soprattutto, trarre gratificazione dalle proprie potenzialità.

Il termine deriva dal latino “felix” e definisce lo stato di chi è appagato dai propri desideri. È una condizione prettamente spirituale, quindi immateriale, dettata dalla gratificazione per quello che si ha. La gioia è un’emozione molto più “pacata” di quello che ci aspettiamo: è la pace, anche nella tempesta.

L’attenzione non è sulla presenza o meno della tempesta, ma sulla costruzione di uno stato di benessere non suscettibile di aspetti materiali. Spesso, infatti, si incorre nel rischio di convincersi di raggiungere la felicità attraverso l’acquisto di un bene qualsiasi, ma questo, piuttosto, rientra nella soddisfazione. La soddisfazione, tuttavia, può tradursi in felicità solida solo quando incontra la gratitudine.

Cosa succede quando proviamo felicità?

Quando siamo felici, nel nostro cervello le cose cambiano.

In particolare, l’attivazione prolungata di un gruppo di neuroni è associata al mantenimento di emozioni positive. Responsabile della loro attivazione è un neurotrasmettitore, definito “molecola della felicità”: la serotonina. Questo neurotrasmettitore viene rilasciato in molte aree cerebrali e modula gli stati affettivi, oltre che il comportamento alimentare e sessuale. È un fondamentale regolatore dell’umore, tanto da associare la sua ridotta attività alla sintomatologia depressiva.

Accanto alla modulazione serotoninergica, l’attività di un altro neurotrasmettitore contribuisce a generare sensazioni di piacere, necessarie per provare felicità: si tratta della dopamina. Quando un individuo si sente gratificato si verifica un aumentato rilascio di questa sostanza nelle aree più profonde del cervello e nella parte anteriore della corteccia frontale (corteccia pre-frontale).

Le aree cerebralmente più profonde coinvolte in questa risposta sono responsabili del semplice “esperire gratificazione” che motiva la persona a ricreare le stesse condizioni che gli\le hanno procurato piacere. L’attivazione delle medesime aree è riscontrabile nei meccanismi di dipendenza d’abuso di sostanze: in questo caso, però, l’individuo ricerca compulsivamente sempre la stessa la sostanza (trascurando tutto il resto), perché considerata l’unica in grado di procurare piacere.

L’attivazione corticale, invece, presiede la componente cognitiva dell’emozione, la più raffinata. È questa che consente all’individuo di dare significato a quello che prova e di contestualizzarlo.

Esperire emozioni positive, inoltre, sembra una funzione dell’emisfero cerebrale sinistro, più che del destro. Lesioni dell’emisfero sinistro, infatti, sono più frequentemente associate a grave sintomatologia depressiva (Vallar & Papagno, 2011).

Uno studio di analisi delle espressioni del volto mostra una specializzazione dell’emifaccia destra (quindi dell’emisfero sinistro) per l’espressione di emozioni positive.

Come si manifesta la felicità?

La felicità, come tutte le emozioni, comporta l’attivazione del sistema nervoso simpatico. L’aumentata adrenalina produce a sua volta tachicardia, aumento della pressione sanguigna, della sudorazione e della frequenza respiratoria.

Esiste, tuttavia, un indicatore universale della felicità: il sorriso. Il celebre lavoro di Ekman sulle microespressioni facciali (per approfondire si vada all’articolo scritto da Federico) specifica il coinvolgimento di due muscoli durante l’espressione della gioia: lo zigomatico maggiore e l’orbicolare dell’occhio. In particolare, il primo solleva gli angoli della bocca, il secondo distende l’area intorno alle palpebre.

Ekman descrive un sorriso autentico riportando la presenza delle tipiche rughe ai lati esterni degli occhi, dell’arricciamento della pelle sotto gli occhi dovuto al sollevamento delle guance, nonché di un abbassamento lieve delle sopracciglia. Lo definisce “sorriso di Duchenne” in onore del neurologo francese Duchenne de Boulogne (abbiamo parlato del rapporto fra Duchenne, Darwin ed Ekman in questo articolo).

La particolarità di queste micro-modificazioni è che non sono tutte controllabili volontariamente, in quanto l’orbicolare dell’occhio non può essere stimolato intenzionalmente. Di qui la possibilità di svelare un sorriso non autentico: un sorriso senza pieghe ai lati degli occhi.

Essere felici, tuttavia, non è solo sorridere! La felicità si legge anche nei gesti gentili, nella fiducia per il futuro, nella calma di chi sa affrontare le difficoltà senza esserne travolto.

La felicità favorisce rapporti interpersonali più sani, non basati sull’egoismo o sul bisogno. Non meno importante, le modificazioni neurotrasmettitoriali in presenza di emozioni positive migliorano le capacità cognitive, consentendo la piena espressione delle proprie potenzialità (Subramaniam & Vinogradov, 2013).

La felicità riduce un po’ la timidezza e l’inibizione, e si sa, prendersi meno sul serio (abbandonando timori e preoccupazioni) apre la strada a rivelazioni preziose!

Cosa influenza il nostro “sentirsi felici”?

I genetisti Lykken e Tellegen sostengono che la felicità dipenda per il 50% dalla genetica e per il 10% da tutto ciò che succede nella vita. Raggiungere attivamente la felicità, allora, richiede di lavorare sull’unica componente modificabile: il restante 40%.

In particolare, Seligman afferma che ciascun individuo ha una felicità costituzionale, ereditaria. Esiste, poi, una buona componente determinata dalle circostanze della vita. Infine, ci sono aspetti, buone pratiche o semplicemente atteggiamenti che influiscono sugli effetti dei fattori genetici e ambientali (Seligman, 2007):

  • Capacità di provare gratitudine
  • Capacità di perdonare
  • Ottimismo

Questi elementi, per nostra fortuna, possono essere allenati.

Come gestire la felicità?

Non si può parlare di felicità senza citare la sua più grande e disastrosa controindicazione: è molto contagiosa. Se ognuno di noi sapesse quanto è efficace un sorriso, probabilmente ne vedremmo molti di più in giro. Lo sa benissimo la scrittrice Luisa Muraro:

“Esiste il comandamento della felicità. Quando uno sprazzo di felicità appare all’orizzonte di una o più persone, come esperienza vissuta o semplicemente come una possibilità, la felicità comanda sulle persone. Spesso quello che comanda è di essere annunciata e condivisa con altri. E lo fa con una potenza che supera di gran lunga quella degli imperativi morali. Credo perfino che certe rivoluzioni siano scoppiate così, solo perché la felicità si è mostrata all’orizzonte.”

E allora ecco, forse bisognerebbe solo abbandonare le armi del disprezzo, del pregiudizio, dell’odio, e far comunicare la felicità. Permetterle di parlare ai nostri amici e nemici, permetterle di creare il cambiamento dove vorremmo e di insegnare in quei luoghi in cui ancora regna l’eterna insoddisfazione.

Giorni “sì” e giorni “no”: il confine con la patologia

Fisiologicamente ognuno di noi è vittima degli sbalzi d’umore, delle giornate “no” in cui la sveglia ci sembra una condanna a morte e delle giornate “sì” in cui potremmo sfilare sicuri sul Red Carpet. Questo, tuttavia, fa parte del pacchetto esseri umani, riguarda tutti e quindi non è patologico.

I cambiamenti dell’umore sono classificabili come disturbo solo quando compromettono seriamente la nostra vita lavorativa, sociale e personale. Quando questi aspetti diventano pervasivi è necessario rivolgersi ad uno specialista.

Questo accade ad esempio nel disturbo bipolare, durante gli episodi maniacali o ipomaniacali. Questi ultimi sono caratterizzati da uno stato euforico che comporta l’eccessivo innalzamento del tono dell’umore, la presenza di elevata autostima, un ridotto bisogno di dormire, logorrea e altissima distraibilità, impulsività e disinibizione.

A causa di alterazioni nei sistemi neutrasmettitoriali, l’umore oscilla continuamente rendendo il soggetto vulnerabile e compromettendo il suo funzionamento lavorativo e sociale. Un’adeguata terapia farmacologica e psicologica, però, può incidere enormemente sul decorso dei sintomi. Oggi, grazie anche al progresso dei servizi di assistenza territoriale, il soggetto con bipolarismo può avere gli strumenti per recuperare il controllo, per “familiarizzare” con i propri sintomi e gestirli per metterli al servizio delle proprie potenzialità.

Il disturbo non va tuttavia confuso con eventuali sbalzi d’umore che caratterizzano la nostra quotidianità e che, come già detto, sono del tutto normali.

Vivere la felicità: un’impresa quotidiana

Al di là della patologia, la felicità rimane un’emozione primaria che proviamo tutti e che si presenta nelle nostre giornate, come tutte le altre emozioni. Essere consapevoli dei suoi meccanismi e manifestazioni migliora la conoscenza di noi stessi, facilitando il suo riconoscimento nella vita quotidiana.

Tornando al consiglio del buon Vonnegut, prendiamoci la responsabilità della nostra felicità, guardiamola negli occhi quando arriva, invitiamola a sedere al tavolo delle nostre emozioni, conosciamola e diamole spazio.

Marina Cariello

Bibliografia

Bogetto, F., Maina, G., & Albert, U. Elementi di psichiatria. (2014). Minerva Medica.

Ekman, P. I volti della menzogna. (2013). Giunti.

Lykken, D., & Tellegen, A. (1996). “Happiness is a Stochastic Phenomenon”, Psychological Science, 7, 4, 186-189.

Roveda, M. La mia definizione di felicità. (2006). Lifegate.

Seligman, M. La costruzione della felicità. (2007). Fabbri.

Subramaniam, K., & Vinogradov, S. (2013). Improving the neural mechanisms of cognition through the pursuit of happiness. Frontiers in human neuroscience7, 452.

Vallar, G., & Papagno, C. (2011). Manuale di neuropsicologia: clinica ed elementi di riabilitazione. Bologna: Il mulino.

Vonnegut, K. Quando siete felici, fateci caso. (2015).Minimum Fax.

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