“Attenti al disgusto; è un altro male incurabile, un morto vale più di un vivo disgustato dalla vita.”
Alfred de Musset
Il disgusto è un’emozione di base, avente la funzione di proteggere l’essere umano dal contatto con stimoli potenzialmente dannosi o contaminanti. Come tutte le emozioni di base, il disgusto è un’eredità dei nostri antenati preistorici, per i quali era di vitale importanza per proteggersi dal rischio di ingerire sostanze velenose e tossiche.
Che cos’è il disgusto?
Il disgusto è una sensazione spiacevole, un sentimento di repulsione, un fastidio, che può essere attivato dagli stimoli più disparati: un alimento che proprio non ci piace, un odore che ci ricorda un evento spiacevole, un edificio molto sporco, la vista di un nostro ex che passeggia per strada, ecc.
Ciò che troviamo disgustoso non vale quindi per tutti: è universale l’emozione del disgusto, ma non ciò che la stimola. Il seguente aneddoto raccontato da Darwin[1] è un chiaro esempio della relatività del nostro giudizio su cosa sia disgustoso:
“È curioso vedere quanto facilmente susciti questa sensazione qualsiasi cosa insolita nell’aspetto, nell’odore e nella natura rispetto al nostro cibo ordinario. Nella Terra del Fuoco un indigeno toccò con un dito la carne fredda conservata che stavo mangiando e, sentendola tenera manifestò estremo disgusto; allo stesso tempo, io fui molto disgustato dal fatto che il mio pasto fosse stato toccato da un selvaggio nudo, benché le sue mani non sembrassero sporche”.
Ad esempio, sempre riferendoci al cibo, per molte culture occidentali fa ribrezzo mangiare gli insetti, alimento (ricco di proteine!) che invece fa parte della dieta di molte popolazioni orientali.
Darwin, in questo caso, faceva riferimento prettamente al cibo ma, successivamente, Rozin e colleghi[2] hanno raggruppato i quattro differenti domini nei quali può manifestarsi disgusto:
- Core disgust: il disgusto di base, stimolato da alcuni alimenti, animali e prodotti corporei con lo scopo di proteggere il corpo dalla contaminazione.
- Animal reminder disgust: il disgusto che riporta alla nostra natura animale, il quale comporta ripugnanza verso oggetti e azioni che ci ricordano le nostre origini animali e la nostra mortalità.
- Interpersonal disgust: il disgusto interpersonale, che ha la funzione di proteggere l’anima e l’ordine sociale attivato dal contatto con altri indesiderabili.
- Moral disgust: il disgusto morale, attivato dalle infrazioni o reati morali a salvaguardia dell’ordine sociale.
In quanto emozione, il disgusto ha una componente di stato, ossia l’attivazione fisiologia in presenza di uno stimolo disgustoso, e una componente di tratto, ossia la tendenza relativamente stabile che determina in che grado le persone provano disgusto in contesti e situazioni differenti.
Si può anche distinguere tra propensione al disgusto e sensibilità al disgusto: con la prima tipologia s’intende la tendenza a provare disgusto con maggiore frequenza ed intensità, mentre la seconda si riferisce alla tendenza a sovrastimare le conseguenze negative delle manifestazioni del disgusto.
C’è differenza tra disgusto e disprezzo?
Nonostante nel linguaggio comune questi due termini vengano spesso usati come sinonimi, in ambito psicologico, in realtà, ci sono delle differenze.
Innanzitutto, il disgusto fa parte delle emozioni di base, mentre il disprezzo fa parte delle emozioni secondarie, come ad esempio il senso di colpa, la gelosia e l’invidia.
Inoltre, se da un lato il disgusto è un’emozione innata, il disprezzo inizia a manifestarsi solo tra i 15 e i 18 mesi di vita e sembra che la sua manifestazione sia influenzata da regole sociali e culturali[3]. Il disprezzo non è indirizzato a sapori, odori e sensazioni, ma rivolto principalmente verso le persone e le loro azioni. Il disprezzo è strettamente connesso a un senso di superiorità, soprattutto morale: disprezziamo le azioni delle altre persone quando non le riteniamo moralmente all’altezza rispetto a quelli che sono i nostri standard.
Mentre ci sono persone che non sono in grado di sopportare anche la minima sensazione di disgusto, ce ne sono altre che vanno fiere di mostrare disprezzo, come dimostrazione della loro “superiorità sociale”.
Cosa ci succede quando proviamo disgusto?
Grazie a tecniche di neuroimaging come l’fMRI (risonanza magnetica funzionale, approfondita nell’articolo sulle Neuroscienze) si è visto che l’elaborazione del disgusto coinvolge specifiche aree cerebrali tra cui l’amigdala, l’insula, i gangli della base e la corteccia parietale[4].
Per quanto riguarda l’aspetto fisiologico, la modificazione più comunemente associata alla reazione di disgusto riguarda il sistema digestivo e la regione della gola: nausea, sensazione – oppure l’atto pratico – di vomito, oltre all’aumento della salivazione[5]. Non a caso quando qualcosa ci disgusta utilizziamo espressioni come “mi fa venire il voltastomaco!”
Come si manifesta il disgusto?
Come avrete già imparato da questa rubrica, i modi in cui l’essere umano manifesta gioia, rabbia e paura sono universali. Perché quindi il disgusto dovrebbe essere da meno?
Mettetevi di fronte ad uno specchio, chiudete gli occhi, immaginate una distesa di immondizia sotto il sole di mezzogiorno ad agosto e ora guardatevi in faccia: questa è l’espressione facciale del disgusto. I segnali più importanti di disgusto si manifestano nella bocca e nel naso, meno nelle palpebre inferiori e nelle sopracciglia: il naso è arricciato, il labbro superiore è sollevato, mentre quello inferiore può essere sia sollevato sia abbassato. In un’espressione di disgusto particolarmente intensa, le palpebre inferiori sono sollevate, mentre le sopracciglia abbassate[6].
Per quanto riguarda il comportamento nel complesso, la risposta al disgusto ha come obiettivo l’allontanamento dallo stimolo disgustoso. In base alla tipologia dello stimolo, quindi, cambierà anche la reazione: tapparsi il naso con le mani in caso di odori spiacevoli, chiudere rapidamente gli occhi se lo stimolo è visivo, allontanarsi fisicamente se lo stimolo è vicino a noi.
Riprendendo il confronto tra disgusto e disprezzo, le loro espressioni facciali si distinguono solo per l’intensità: quelle del disprezzo sono meno intense. Essendo però il disprezzo un’emozione strettamente connessa all’interazione sociale, può manifestarsi attraverso particolari reazioni verbali, quali ad esempio una battuta sarcastica, lo scherno, la derisione e persino l’insulto. Al contrario del disgusto, quindi, le reazioni più comuni del disprezzo non prevedono l’allontanarsi o lo sbarazzarsi dello stimolo, ma piuttosto hanno l’obietto di “demolirlo”, di renderlo inferiore.
Come gestire il disgusto?
Non sempre è facile riuscire a gestire il disgusto. Se ad esempio non ci piace un alimento, la nostra reazione ad esso sarà automatica, quindi, anche senza volerlo, ci ritroveremmo a vivere una sensazione di disgusto.
Ci sono però alcuni casi, soprattutto a livello relazionale, in cui possiamo controllarlo e gestirlo. Se una persona, con le sue azioni e le sue idee, ci provoca disgusto (o meglio, disprezzo), possiamo muoverci in diversi modi. Se possiamo evitarla, ben venga, ma se questa strategia non è attuabile, potremmo cercare di avere un dialogo costruttivo, spiegando il nostro punto di vista e come ci fanno sentire le sue azioni e il suo modo di comportarsi con noi. Se anche questa strategia dovesse rivelarsi fallimentare, possiamo mettere in atto delle forme di regolazione emotiva, come ad esempio la rivalutazione cognitiva e la soppressione.
La rivalutazione cognitiva consiste nel riconoscere che il disgusto che proviamo non dipende tanto dalle situazioni in cui ci troviamo, quanto dal significato che noi attribuiamo ad esse. Inoltre, essa ci permette di modulare e gestire il disgusto tramite la riformulazione dei pensieri che hanno provocato in noi questa emozione. Si tratta quindi di trovare un modo di guardare la situazione da una prospettiva diversa, che non scateni in noi un vissuto così negativo.
La soppressione, invece, ha lo scopo di annullare il disgusto sul nascere, cercando di nasconderne i segni espressivi. È meno risolutiva del problema in sé, ma può essere utile (se non necessaria) in contesti nei quali non si ha il tempo di elaborare una risposta comportamentale più adattiva.
Cosa fare quando abbiamo la sensazione di essere noi la causa del disprezzo negli altri? Sicuramente, il consiglio migliore è il dialogo costruttivo. Parlare con l’altra persona di ciò che vive e sente, cercando di non metterci sulla difensiva ma di accogliere il suo punto di vista, potrebbe aiutarci ad avere una visione diversa di noi stessi e, perché no, anche a conoscerci meglio.
Quando il disgusto diventa patologico?
Anche se essere particolarmente schifiltosi non rende la vita troppo semplice, avere una certa sensibilità al disgusto non è patologico in sé per sé.
Sembra invece che la propensione a provare disgusto abbia un legame con lo sviluppo ed il mantenimento di varie psicopatologie: disturbi d’ansia (soprattutto fobie specifiche), disturbi del comportamento alimentare (come bulimia e anoressia nervosa), alcune disfunzioni sessuali, e ipocondria. In particolare, molti studi hanno investigato la particolare relazione tra il disgusto, e il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC). Secondo il DSM-5, il DOC è un disturbo caratterizzato dalla presenza di ossessioni e/o compulsioni: le ossessioni sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti come indesiderati; le compulsioni, invece, sono comportamenti o azioni mentali ripetitive che la persona si sente obbligata a compiere in risposta a un’ossessione o secondo regole applicate rigidamente[7]. Nonostante il contenuto specifico di ossessioni e compulsioni vari in base all’individuo, si possono identificare alcune principali dimensioni sintomatologiche:
- pulizia: ossessioni di contaminazione e compulsioni di pulizia;
- simmetria: ossessioni di simmetria e compulsioni di ripetizione, ordine e punteggio;
- pensieri proibiti o tabù: ossessioni aggressive, sessuali, religiose e relative compulsioni;
- danno: timori di danno a se stessi o agli altri e relative compulsioni di controllo.
Anche se presente in tutte le differenti dimensioni sintomatologiche del DOC, in quella della pulizia l’emozione del disgusto gioca un ruolo principale: alti livelli di vulnerabilità predicono maggiori livelli di sintomatologia di contaminazione, di distress relativo al lavaggio, di credenze ossessive e di comportamenti di lavaggio, misurati in termini di frequenza[8]. Come si può spiegare tale relazione? Secondo Teachman[9] potrebbe derivare tutto da un’interpretazione negativa dell’iniziale sensazione di disgusto: tale sensazione è percepita in maniera intrusiva ed eccessiva, al punto da motivare la messa in atto di atteggiamenti specifici come il lavaggio eccessivo e il controllo.
Inoltre, individui con un’elevata propensione al disgusto possono sentirsi particolarmente responsabili per la prevenzione della contaminazione, per cui si sentono in dovere di liberarsi dallo stimolo contaminato e disgustoso.
Se, leggendo questo articolo, avete notato che avete delle difficoltà nel gestire il disgusto che risultano pervasive, rivolgetevi ad uno specialista!
Chiara Russo
Bibliografia
[1] Darwin, C. (1872). The expression of the Emotion in Man and Animals. Reprinted 1965. Chicago, University of Chicago Press.
[2] Rozin, P., Millman, L., Fallon, A. E. (1986). Operation of the law of sympathetic magic in disgust and other domains. Journal of Personality and Social Psychology 50 (4), 703-712.
[3] Izards, C. E. and Buechler, S. (1980). Aspects of Consciousness and Personality in Terms of Differential Emotions Theory, in Theories of Emotion. Cambridge, Academic Press.
[4] Phillips, M. L., Drevets, W. C., Rauch, S. L. and Lane, R. (2003). Neurobiology of emotion perception I: the neural basis of normal emotion perception. Biological Psychiatry 54, 504-514.
[5] Angyal, A. (1941). Disgust and Related Aversions. Journal of Abnormal and Social Psychology 36, 393-412.
[6] Ekman, P. and Friesen, W. V. (2007). Giù la Maschera. Come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso. Firenze, Giunti Editore.
[7] American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition, DSM-5. Arlington, VA.
[8] Questa, M., Dassisti, A., Gallese, M., Fagliarone, D., Catarinella, S., Oliviero, L. e Cosentino, T. (2013). Il Disgusto nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo: Una Review. Cognitivismo Clinico, 10(2), 161-172.
[9] Teachman, B. A. (2006). Pathological disgust: In the thoughts, not the eye, of the beholder. Anxiety, stress & coping, 19, 4, 335-351.