Condividere è un fatto social(e)

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Rifletto spesso su quanto “condividere” un’esperienza con qualcuno o qualcuna sia importante per ciascuno di noi.

Tre anni fa, durante un viaggio in Portogallo, mi trovai a visitare la capitale mentre attendevo l’arrivo di due mie amiche che provenivano da città diverse. Ero talmente emozionata all’idea di girare una città completamente nuova e per la prima volta da sola, che iniziai a camminare a passo svelto nel tentativo di calpestarla più che potessi! Arrivai in un punto panoramico rimanendo incantata dalla vista che c’era e mi venne un irrefrenabile desiderio di scattare una foto, perché pensai che quella bellezza dovesse essere immortalata. Così, nonostante il cellulare fosse quasi completamente scarico iniziai a scattarne diverse, finché il cellulare si spense.

Anni dopo, riguardando quella foto, pensai a ciò che mi aveva spinto a scattarla rischiando così di rimanere senza connessione. Mi venne allora in mente una frase di Goethe che una volta il mio professore di filosofia del liceo citò. Raccontando del suo viaggio in Italia Goethe scrisse:

 “Per questa sera mi sarei già potuto trovare a Verona, ma a pochi passi da me c’è questo maestoso spettacolo della natura, quel delizioso quadro che è il Lago di Garda. Ed io non ho voluto rinunciarvi: mi trovo generosamente compensato di aver allungato il cammino… con ardente desiderio vorrei che i miei amici si trovassero un momento qui con me per poter gioire della vista che mi sta innanzi”.

Il famosissimo pensiero di Goethe, divenuto poi strumento di pubblicità del lago di Garda, è un chiaro esempio della necessità insita nell’uomo di condividere ciò che ama con le persone più care (“con ardente desiderio vorrei che i miei amici si trovassero un momento qui con me per poter gioire alla vista che mi sta innanzi”). Per quanto infatti provasse piacere alla vista del lago, non riuscì a goderne a pieno in quanto si trovava lì da solo. Nello stesso modo il desiderio di immortalare quel panorama e di mostrarlo alle mie compagne di viaggio, prima ancora che potessero vederlo con i loro occhi, era probabilmente legato alla necessità imminente di condividere la bellezza che vedevo.

Perché proviamo il desiderio di condividere?

Condividere è un bisogno innato

Il concetto di condivisione è radicato nell’essere umano che inizia a sperimentarlo sin dai primi anni di vita. Il primo segnale osservabile nel/la bambino/a che comproverebbe la volontà di condividere qualcosa con l’adulto coincide con il gesto dell’indicare che compare tra i 7 e 15 mesi (Camaioni, Perucchini, Bellagamba & Colonnesi, 2004). In particolare è a partire dai 12 mesi che il bambino utilizza l’indice puntato al fine di attirare l’attenzione del caregiver (o genitore) a cui vuole dire: “guarda quello che sto guardando io, voglio condividerlo con te”.

L’indice puntato, o pointing, rientra fra i gesti prelinguistici, anticipa cioè la produzione di parole e riveste un’importanza strategica nello sviluppo del linguaggio (Bates, Camaioni & Volterra, 1975), infatti la frequenza con cui viene effettuato questo gesto predice lo sviluppo del vocabolario successivo, ovvero quanto più viene utilizzato, quante più parole il/la bambino/a saprà pronunciare (Iverson & Goldin-Meadow, 2005).

Dai 12 mesi in poi il/la bambino/a inizia ad esprimere meglio, attraverso le parole, ciò che intende comunicare, ma il gesto dell’indicare permane. Pensiamo ad un/una bambino/a di all’incirca due anni che vede per la prima volta uno scimpanzé allo zoo, chiamerà il genitore e con il dito puntato dirà “Guadda”: in questo specifico caso, il pointing, oltre a richiamare l’attenzione dell’altro sarà finalizzato alla richiesta di una spiegazione di ciò che sta vedendo e che non conosce ancora. Potremmo quindi dire che la condivisione rappresenta un passaggio fondamentale per l’acquisizione di nuove conoscenze e per lo sviluppo di abilità socio-comunicative nel bambino.

“Comunicare è condividere. E qualsiasi cosa condivisa raddoppia il piacere.”

Italo Calvino

La motivazione più scontata per cui condividiamo un’esperienza è legata al fatto che siamo “animali sociali”, pertanto entriamo in relazione con gli altri al fine di soddisfare il nostro originario bisogno di appartenenza (Baumeister & Leary, 1995). Eppure non scegliamo di condividere un’esperienza soltanto perché siamo consapevoli di questo bisogno, ma anche per altre ragioni, come ad esempio il valore che attribuiamo ad una determinata esperienza (Jolly, Tamir, Burum & Mitchell, 2019).

Pensiamo a quando assaggiamo un gelato buonissimo e la prima cosa che ci viene da fare è raccontarlo ad un nostro amico o ad una nostra amica, incitandolo/a a provarlo insieme a noi: in questo caso condividiamo perché desideriamo vivere (o ri-vivere) un’emozione o una sensazione di piacere insieme ad un’altra persona. Lo sanno bene le pubblicità che invitano a gustare un prodotto in compagnia degli amici o dei familiari, per “raddoppiarne il piacere stesso”.

Condividiamo anche per soddisfare il nostro bisogno di auto-realizzazione: pensiamo per esempio a quando non vedevamo l’ora di tornare a casa da scuola per raccontare ai genitori che finalmente avevamo preso quell’8 in matematica tanto sudato.

Condividiamo certo anche per ragioni di sicurezza, per avvertire gli altri di un imminente pericolo.

Esistono inoltre evidenze scientifiche che confermano che la condivisione di un’esperienza come guardare insieme ad un/’ amico/a delle immagini, piuttosto che da soli, attiva il circuito cerebrale della ricompensa (Wagner et al., 2014). La condivisione quindi si identifica come uno degli aspetti che maggiormente gratifica l’essere umano: questo spiega come mai si provi il desiderio di condividere un’emozione, una notizia o la bellezza di un paesaggio con qualcun altro.

Condividere sui social: cosa sta cambiando?

Oggi il termine “condividere” fa pensare inevitabilmente ai social network, non è così anche per voi?

Tramite “i social” ci si scambia costantemente: notizie in tempo reale, immagini che parlano al posto nostro, video che in breve tempo fanno il giro del mondo. Allora ho provato chiedermi se questo nuovo modo di comunicare non stia pian piano modificando, oltre che le nostre abitudini, anche lo stesso concetto di condivisione. Anzitutto, per via del fatto che siamo sempre connessi, tendiamo anche a condividere di più?

Condividiamo di più?

Probabilmente sì, perché i contenuti sono numerosi ed è aumentato il tempo speso sui social network. Condividere sui social è inoltre stimolante e divertente: sono gli stessi social network che incitano le persone a generare e scambiarsi spesso nuovi contenuti (Lee & Ma, 2012). Differentemente da quanto si pensava alcuni anni fa, chi utilizza i social non raccoglie passivamente notizie, bensì produce continuamente dei contenuti (Nov, Naaman & Ye, 2010). L’utente infatti utilizza i media per soddisfare i propri bisogni: pensiamo ad esempio ad un ristoratore che apre una pagina facebook per pubblicizzare il proprio locale e la propria cucina. I social sono molto utili da questo punto di vista perché consentono di raggiungere un gran numero di interessati, quindi un aumento di nuovi possibili clienti.

Interazioni virtuali VS interazioni reali

Viene spesso da chiedersi se le interazioni virtuali siano diverse da quelle reali e se il tempo speso a interagire online non stia sostituendo quello per così dire “reale”. In realtà gli esperti ci dicono che le relazioni virtuali non rappresentano delle “false relazioni”, ma sono semplicemente mediate dall’utilizzo della tecnologia. Ci accorgiamo che non c’è una distinzione netta fra la dimensione reale e quella virtuale quando ad esempio lavoriamo da casa in smart working o quando organizziamo un viaggio con un amico o un’amica condividendo con lui o lei posti dove alloggiare: è un po’ come se saltellassimo continuamente da una dimensione all’altra (Bauman, 2017). Recentemente è stato individuato un neologismo che spiega bene questa nuova condizione: “onlife” (Floridi, 2014) che indica il superamento della dicotomia fra online e offline consentendo di definire una vita perennemente connessa in cui le relazioni non perdono la loro continuità (Rainie e Wellman, 2012).

Sta cambiando il significato di condivisione?

Stiamo assistendo alla trasformazione di alcune nostre abitudini che condurranno inevitabilmente ad avere un maggior numero di interazioni online, così come sembrerà sempre più naturale poter condividere qualsiasi cosa in tempo reale e con un gran numero di persone, ma è difficile dire se questo stia modificando lentamente anche il significato che attribuiamo al concetto di condivisione.

Occorre però far riferimento anche alle motivazioni che ci spingono a condividere sui social. Come suggeriscono alcuni ricercatori, la condivisione online è probabilmente mossa dal desiderio di connettersi con gli altri e non necessariamente dall’esperienza in sé che si vuole condividere (Jolly, Tamir, Burum & Mitchell, 2019).

Non è certo l’unica motivazione che spinge gli utenti a condividere sui social, ma questo aiuta ad avere una visione più chiara delle differenze che intercorrono fra la dimensione reale e quella virtuale.

Un’altra considerazione necessaria è quella dei destinatari della condivisione: quindi se il contenuto viene pubblicato su un social come Facebook o Instagram dove diventa visibile a molti o se invece viene inviato selettivamente ad alcuni amici o amiche. In quest’ultimo caso la condivisione sarà più intima e può essere collegata ad un vissuto in comune con quella persona.

Tornando a Goethe viene da chiedersi: se avesse avuto uno smartphone, si sarebbe comunque rattristato alla vista solitaria del panorama? O magari l’avrebbe condiviso con i suoi amici, senza rinunciare al piacere di quel preciso istante?

La certezza di essere costantemente connessi per via della disponibilità dei dispositivi elettronici può, da una parte, spingerci a condividere di più, ma dall’altra potrebbe invece convincerci a vivere più momenti ed esperienze da soli, uscendo momentaneamente dalla dimensione online in cui siamo costantemente inseriti.

Questo articolo vuole essere uno spunto di riflessione su un tema attuale che tuttavia non è possibile trattare in poche righe, ma che potrebbe essere approfondito tramite altri articoli.

Beatrice Moretti

Bibliografia

Bates, E., Camaioni, L., & Volterra, V. (1975). The acquisition of performatives prior to speech. Merrill-Palmer quarterly of behavior and development, 21(3), 205-226.

Bauman, Z. (2017). Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone. Gius. Laterza & Figli Spa.

Baumeister, R. F., & Leary, M. R. (1995). The need to belong: desire for interpersonal attachments as a fundamental human motivation. Psychological bulletin, 117(3), 497.

Camaioni, L., Perucchini, P., Bellagamba, F., & Colonnesi, C. (2004). The role of declarative pointing in developing a theory of mind. Infancy, 5(3), 291-308.

Floridi, L. (2014). Luciano Floridi—Commentary on the Onlife Manifesto. The Onlife Manifesto: Being Human in a Hyperconnected Era, 21.

Iverson, J. M., & Goldin-Meadow, S. (2005). Gesture paves the way for language development. Psychological science, 16(5), 367-371.

Jolly, E., Tamir, D. I., Burum, B., & Mitchell, J. P. (2019). Wanting without enjoying: The social value of sharing experiences. PloS one, 14(4), e0215318.

Lee, C. S., & Ma, L. (2012). News sharing in social media: The effect of gratifications and prior experience. Computers in human behavior, 28(2), 331-339.

Nov, O., Naaman, M., & Ye, C. (2010). Analysis of participation in an online photo‐sharing community: A multidimensional perspective. Journal of the American Society for Information Science and Technology, 61(3), 555-566.

Rainie, H., & Wellman, B. (2012). Networked: The new social operating system (Vol. 419). Cambridge, MA: Mit Press.

Wagner, U., Galli, L., Schott, B. H., Wold, A., van der Schalk, J., Manstead, A. S., … & Walter, H. (2015). Beautiful friendship: Social sharing of emotions improves subjective feelings and activates the neural reward circuitry. Social cognitive and affective neuroscience, 10(6), 801-808.

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