L’auto-mutuo-aiuto: i gruppi “A.M.A”

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Sono molti gli ambiti lavorativi in cui psicologi e psicoterapeuti possono essere impiegati, passando dal campo clinico a quello delle risorse umane, dalla psicologia della prevenzione alle pratiche giuridiche. Muovendoci all’interno di questo complesso panorama di opportunità, esiste una metodologia ormai diffusissima sia in Italia che all’estero, la quale prende il nome di auto-mutuo-aiuto. Cosa sia questa pratica non è così semplice da definire.

Pillole prima di addentrarci:

  1. Non si tratta di psicoterapia di gruppo: lo psicologo utilizza metodologie di lavoro diverse;
  2. La figura dello psicologo assume il ruolo di “facilitatore”, ma non è un elemento imprescindibile per poter avviare un gruppo AMA. Questo infatti attinge forza e autonomia dalla reciproca condivisione e dal mutuo-ascolto dei suoi partecipanti volontari;
  3. Non esistono gerarchie: parità e rispetto dell’altro sono regole basilari;
  4. I gruppi AMA hanno l’obiettivo di integrare le professionalità di psicologi, psicoterapeuti o altre figure operanti all’interno dei Dipartimenti di Salute Mentale, associazioni, enti privati, ecc. che abbiano la volontà di avviare gruppi AMA.

Cosa significa auto-mutuo-aiuto

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’auto-mutuo-aiuto come una pratica attivabile anche da figure non professioniste, che abbiano come unica finalità quella di promuovere, mantenere o recuperare la salute fisica, psicologica e/o sociale di intere comunità.

L’auto-mutuo-aiuto, anche definito come “AMA”, è una modo per aiutarsi reciprocamente, messo in atto attraverso piccoli o grandi gruppi di persone che condividono la stessa difficoltà e desiderano alleviare lo stato di sofferenza che affrontano.

Attraverso la condivisione di storie personali, emotività e vulnerabilità con gli altri partecipanti, si costruisce una rete di contributi in cui ognuno dona e riceve “qualcosa” dall’altro.

Ascoltare fragilità altrui e allo stesso tempo condividere le proprie, permette di sperimentare un nuovo sentimento di forza, allontanando la vergogna o la paura di essere soli.

La forza del gruppo starebbe proprio nella possibilità di ricostruirsi all’interno di una collettività di cui ci si sente fortemente parte, una sorta di rete “amicale” che non conosce gerarchie.

Il clima generatosi permette di raccontare storie di vita intense e spesso molto dolorose, a persone che vivono o hanno vissuto le medesime esperienze: lutti, dipendenze, problemi familiari o sociali, difficoltà psichiche, affettive, alimentari, ecc. Il gruppo prende vita sempre incentrandosi su una tematica comune, attorno alla quale si racconteranno le diverse soggettività.

Le capacità di ascoltare e di parlare di sé sono dunque funzionali per sorreggere un presente tormentato, riattivando anche la possibilità di credere in un futuro diverso e più leggero.

Origini e attualità dell’auto-mutuo-aiuto

La nascita dei primi gruppi AMA viene spesso associata al 1935, quando negli Stati Uniti presero forma quelli che oggi conosciamo come “Alcolisti Anonimi”. All’epoca il principale obiettivo fu quello di sostenersi l’uno con l’altro per tentare di uscire dalla tossicodipendenza.

Nonostante il periodo storico sia molto distante da quello attuale, siamo di fronte a un importante tentativo di trasformare il concetto di tossicodipendenza: da condizione irrecuperabile, messa ai margini e sottoponibile a immediato giudizio moralistico, verso l’attuale definizione iscritta all’interno della categoria del DSM-V (Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders) “Disturbi correlati a sostanze”. Si inizia quindi a comprendere l’oggettività della tossicodipendenza come reale disturbo psichico. Dunque anche la possibilità di uscirne diventa obiettivo pensabile, attivando risorse, stabilendo piani terapeutici integrabili con l’auto-mutuo-aiuto, combattendo il rischio di imbattersi in pericolose conseguenze.

Oggi gli Alcolisti Anonimi sono uno dei gruppi AMA più diffusi.

In Italia si inizia a parlare di auto-mutuo-aiuto negli anni ’60 e in maniera ancora più attenta negli anni ’70, con la nascita e la diffusione delle comunità terapeutiche.

Nel corso degli anni, i notevoli cambiamenti che la società ha visto susseguirsi hanno inevitabilmente colpito anche la sfera della salute mentale e del disagio, inteso da ogni punto di vista. All’interno di questo panorama che ha investito sia enti pubblici che privati, i gruppi AMA sono stati protagonisti di una capillare crescita, tanto da essere oggi considerati una realtà forte e stabilizzata sul nostro territorio e oltre.

Il Servizio Sanitario Nazionale, associazioni onlus, cooperative sociali, istituti privati, ecc., realtà orientate alla promozione del benessere psico-fisico e sociale, investono sempre maggiori risorse per mettere in campo la pratica del mutuo-aiuto. L’attenzione verso le svariate esigenze degli utenti fa sì che si mettano al centro tematiche differenti a seconda del caso: i gruppi possono affrontare ansia, difficoltà alimentari, gioco d’azzardo, depressione, problematiche comuni ai familiari di pazienti con particolari patologie, genitorialità, anzianità, difficoltà scolastiche o adolescenziali, ecc.

L’auto-mutuo-aiuto diventa uno strumento per completare e integrare competenze di professionisti che lavorano nella salute mentale e non solo (psicologi, psichiatri, educatori, assistenti sociali, ecc.). Esso è dunque un’importante possibilità, riconosciuta dalle istituzioni sanitarie, per ottimizzare le potenzialità dei servizi socio-sanitari.

I partecipanti sono sempre volontari, spinti dalla necessità di condividere esperienze dolorose ma comuni, provando a costruire un percorso orientato a migliorare la propria qualità di vita. Emerge chiaramente il potere della solidarietà e del mettersi a disposizione dell’altro. Ogni volontario costruisce una relazionalità basata su un impegno serio. I gruppi riescono a proseguire grazie ad una partecipazione continuativa e a valori imprescindibili, quali fiducia, rispetto e segretezza dei contenuti altrui. Regole fondamentali che vengono istituite fin dal principio.

Si manifestano sentimenti difficili da scoprire da soli, contenuti non esprimibili senza il supporto reciproco, una condivisione rispettosa e attenta sia al singolo che alla collettività.

Come viene iniziato un gruppo A.M.A

Come già anticipato, un gruppo AMA può essere avviato all’interno di qualsiasi istituzione. Nonostante ciò sia possibile anche senza la presenza di professionisti, questi possono comunque esserne gli iniziatori (es.: nei Dipartimenti di Salute Mentale). Inizialmente, è stato già evidenziato che psicologi e psicoterapeuti sono tra coloro a cui spesso viene affidato il compito di dar vita a gruppi AMA, diventando però figure che ben si differenziano dal ruolo che hanno nella psicoterapia di gruppo. Questa infatti prevede una precisa organizzazione strutturale, dove lo psicoterapeuta ha un ruolo chiave nell’interpretare contenuti emergenti da ogni seduta, mettendo in campo le sue abilità professionali apprese all’interno di un percorso strutturato. Riesce così ad orientare il gruppo verso l’obiettivo concordato, rispettando setting formali, cornici temporali e pagamenti stabiliti.

Diversa è l’attività svolta nell’auto-mutuo-aiuto. Ricordiamo che il principio della parità e dell’assenza di gerarchie deve essere rispettato. Dunque, lo psicoterapeuta che abbia la volontà di iniziare un gruppo, diventa un “facilitatore”. Così viene definita la figura di colui che mette in moto la partecipazione del gruppo. Egli avrà l’importante ruolo di chiarire le regole in fase iniziale e di farle rispettare durante tutta la durata del percorso (segretezza, fiducia, rispetto del tempo che ognuno ha per raccontarsi, saper ascoltare, ecc.). E’ fondamentale che il facilitatore si metta alla pari di tutti gli altri, senza costruire una relazionalità differenziata per ruoli, senza interpretare contenuti ma favorendone lo scambio libero. Egli dovrà evitare di parlare di sé, mettendosi in ascolto. Dovrà guidare verso la costruzione di una responsabilità individuale e collettiva. In tal modo il gruppo sarà in grado di rimanere in piedi anche senza la presenza fisica del facilitatore, andando avanti grazie a una propria autonomia consolidata. Egli non deve essere inteso come responsabile di un percorso di risoluzione di contenuti complessi: egli è principalmente una sorta di contenitore delle regole e del rispetto di esse, fa da garanzia perché il gruppo si costituisca e continui da sé. Solitamente ogni facilitatore ha svolto un percorso formativo sull’attività gruppale ed è ben istruito rispetto alla tematica che si decide di mettere al centro. Tuttavia, esistono moltissimi gruppi privi di tale figura o nei quali essa è presente solo in un primo tempo, a dimostrazione del fatto che il vero motore non è nelle sue mani.

Uno dei punti di riferimento nel mondo dell’auto-mutuo-aiuto in Italia è il Dottor Stefano Bertoldi, educatore professionale, ideatore e fondatore dei gruppi AMA di Trento. Una delle definizioni da lui offerte per l’auto-mutuo-aiuto è la seguente:

“Un momento d’incontro tra persone, singole, in coppia o famiglie, unite da uno stesso problema per rompere l’isolamento, per raccontarsi le proprie esperienze di vita (gioiose o dolorose), per scambiarsi informazioni e soluzioni, per condividere sofferenze e conquiste con l’obiettivo di riscoprirsi risorsa, non solo per sé, ma per l’intera collettività.”

Stefano Bertoldi, Associazione A.M.A. Trento

Nel concludere, vorrei ringraziare il Dipartimento di Salute Mentale di Ascoli Piceno (ASUR Marche, AV5, Centro di Salute Mentale), dove ho svolto i primi sei mesi del tirocinio per l’abilitazione professionale. Grazie alla Dott.ssa Facciabene, responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Psicologia, ho potuto conoscere l’importante metodologia dell’Auto-Mutuo-Aiuto, arricchendo sia il mio bagaglio professionale che, soprattutto, umano. Attraverso la guida, il supporto ed il confronto costante con la tutor, sono entrata in contatto con la delicata realtà di uno dei gruppi seguiti dal servizio, esistente da più di 20 anni ed incentrato sul tema delle difficoltà vissute da familiari di pazienti psichiatrici. Tutto questo ha alimentato curiosità e voglia di approfondire un ambito così importante, prima d’ora poco conosciuto.

Greta Bonfigli

Bibliografia

  • A.I.T.Sa.M Onlus, “Associazione italiana tutela salute mentale”. La casa dell’auto mutuo aiuto. I gruppi di auto mutuo aiuto, trasforma il disagio in risorsa. A cura di Mattioli Corona. Pubblicazione realizzata con il contributo del Centro Servizi per il Volontariato di Treviso, 2012, 9-15, 28-35. (PDF)
  • Associazione Lotta alle Tossicodipendenze (A.L.T.). Storia, definizione, caratteristiche e obiettivi dell’auto-mutuo-aiuto. Treviglio (BG). 2015. 1-6. (PDF)
  • Calcaterra V. Attivare e facilitare i gruppi di auto/mutuo aiuto. Erickson. 2013. 1-11. (PDF)
  • Casa AMA. Auto Mutuo Aiuto, la guida. Pordenone. 2012. 10-19.
  • Gigantesco A., Bertoldi S., Mosna S., Mirabella F., Morosini P. Gruppi di automutuoaiuto: la valutazione dei benefici dal punto di vista dei partecipanti. Mutual-help groups: the members’ views of their benefits, Rivista di psichiatria. 2004, 39, 6. 410-416.
  • Martimbianco S. I gruppi di auto mutuo aiuto. Partendo dall’ascolto, il cambiamento è nel conTesto. Università del Volontariato, Università Cà Foscari. 2014-2015. 5-11.
  • Pangrazzi A. Il dolore non è per sempre. Il mutuo aiuto nel lutto e nelle altre perdite. Erickson. Trento. 2016. 11-20. (PDF)
  • Reichenberg L.W. DSM-5 L’essenziale. R. Cortina Editore. Milano, 2015, 97-106.

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