L’adolescenza e la rivoluzione del cervello

cervello adolescenza
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Ricordate quella lezione di matematica in cui l’insegnante vi fece fare una figuraccia davanti a tutti? O lo shock che avete provato quando vi siete resi conto che i vostri genitori erano persone “ordinarie”? Le notti in cui non riuscivate a dormire pensando alle vostre scelte e all’esistenza o meno di un futuro? Se sì, avete ancora un’idea abbastanza chiara del significato di adolescenza[1].

Il carico emotivo, l’importanza attribuita alla rete sociale, quella costante sensazione di essere confusi, l’impulsività, l’insicurezza, sono tutti temi che si associano al vivere l’adolescenza. Essa non inizia e finisce in un momento predeterminato per tutti. Il punto di partenza, generalmente, è la pubertà. L’uscita dall’adolescenza, invece, è più difficile da definire ed è soggetta anche a variabili culturali. Si tratta di un periodo di transizione che porta con sé una serie di cambiamenti fisici e non, spesso difficili da affrontare e da comprendere.

Le neuroscienze ci spiegano come la maggior parte dei cambiamenti comportamentali e psicologici siano da rimandare a modificazioni a livello cerebrale.

Al momento della nostra nascita, il cervello non è completamente formato: per il principio della “plasticità neurale” continua a modificarsi per tutto il corso della vita, adattandosi ai cambiamenti interni ed esterni per essere sempre al massimo della sua efficienza e per poter affrontare le sfide della vita. Per fare un esempio di come operi il principio della neuroplasticità, possiamo pensare al fatto che imparando una lingua nuova le aree deputate al linguaggio crescono e le loro connessioni diventano più forti e più efficienti[2].

 L’adolescenza è il momento in cui le connessioni e i circuiti di neuroni “utili” si rafforzano (“mielinizzazione”) e quelli “inutili” vengono eliminati (“pruning sinaptico”). Si tratta di un macro-meccanismo di riorganizzazione che mostra i suoi effetti nei comportamenti e nelle emozioni che tutti vivono in questa fase[4]. Questi cambiamenti cerebrali migliorano la velocità di comunicazione e l’efficienza di elaborazione delle informazioni da parte dei neuroni, ma bisogna tener conto che si tratta di processi che non avvengono simultaneamente in tutto il cervello e spesso la più rapida maturazione di determinate funzioni rispetto ad altre crea degli squilibri interni[3]. In altre parole, le modificazioni cerebrali ci dotano di nuovi strumenti che il cervello stesso deve imparare ad utilizzare. Si acquisiscono nuove capacità e serve tempo per poterne fare uso in modo consapevole.

Prendere decisioni: quanto è difficile

La corteccia prefrontale (PFC), che si trova nella parte più anteriore del cervello, è l’ultima area cerebrale a raggiungere una conformazione stabile e matura. Essa viene definita l’area delle decisioni, infatti è responsabile di una serie di funzioni cognitive di alto livello: pianificazione di azioni complesse, inibizione degli impulsi, capacità di giudizio critico, comprensione e riconoscimento delle intenzioni e delle emozioni altrui, empatia e ragionamento. La PFC va incontro a profondi cambiamenti durante l’adolescenza. Avrete già intuito l’impatto che possono avere i cambiamenti di una regione cerebrale così importante nella vita di un individuo.  

Numerosi studi su pazienti con danno a livello della corteccia prefrontale mostrano come conseguenza dei deficit a livello decisionale: si parla di “cecità per il futuro” e si intende una difficoltà nel prendere decisioni in funzione delle conseguenze delle proprie scelte e azioni. Dati neuropsicologi e studi di neuroimaging dimostrano che nellɜ adolescentɜ le scelte ottimali per un risultato favorevole vengono individuate in ritardo rispetto allɜ adultɜ, il livello di attivazione delle aree deputate al controllo e al monitoraggio del comportamento è minore rispetto a quello dellɜ adultɜ e, infine, il livello di attivazione di quelle aree deputate alla valutazione della ricompensa è maggiore rispetto allɜ adultɜ [3]. I sistemi coinvolti nei comportamenti motivati ed emozionali, in questo periodo di vita, rilasciano più dopamina (neurotrasmettitore che media le sensazioni di piacere) del normale in risposta a eventi gratificanti. In pratica, ciò significa che davanti alla necessità di prendere una decisione tra un’opzione che offre una ricompensa o un piacere immediati e un’altra che offre una ricompensa più grande ma posticipata nel tempo, lɜ adolescentɜ saranno probabilmente più propensi a scegliere la prima opzione nonostante la seconda sia più vantaggiosa[4]. A livello logico-razionale questo tipo di scelta rappresenta un fallimento del processo decisionale. Ma questi dati a disposizione sono sufficienti a giustificare la tendenza a comportamenti impulsivi e rischiosi associati all’adolescenza?

Le reazioni emotive

Uno dei fattori che rende l’adolescenza un periodo così “drammatico” è il vissuto emotivo che accompagna gli eventi quotidiani. Le reazioni emotive agli eventi sono spesso amplificate e il giudizi sociali si basano principalmente su un visione egocentrica. Perché? Come funzionano i nostri circuiti emotivi in adolescenza?

In parallelo alla tardiva maturazione dei circuiti di autoregolazione, si osserva una maggiore attivazione dei circuiti affettivi in adolescenza rispetto all’età adulta. Le aree limbiche (amigdala, ippocampo, ipotalamo e altre strutture corticali e sottocorticali) sono coinvolte nelle reazioni emotive e nelle risposte comportamentali, soprattutto di rabbia e paura. La loro iperattivazione potrebbe essere una spiegazione del perché in adolescenza ogni emozione è amplificata al punto da sembrare scollegata dal contesto che l’ha provocata: pensate a voi stessɜ adolescentɜ mentre vi preparate per andare a una festa, probabilmente ci sarà la persona che vi piace, e vi rendete conto di avere un brufolo sul naso.

Il cervello sociale

L’iperattivazione del nodo emotivo potrebbe essere un’interpretazione del marcato interesse degli adolescenti verso il gruppo dei pari, nel quale investono la maggior parte della loro affettività e del loro mostrarsi ipersensibili all’accettazione e al rifiuto da parte dei coetanei. Gli stimoli di natura sociale (come amicizie, relazioni sentimentali, giudizi scolastici) ricevono molta attenzione e influiscono sui livelli di motivazione e autostima[2].

Negli ultimi anni la ricerca scientifica sui cambiamenti cerebrali si è occupata anche di quello che viene definito il “cervello sociale”, riferendosi a un circuito di regioni del cervello implicate nella comprensione degli altri, nell’empatia, nei comportamenti sociali[2]. In altre parole, come abbiamo già detto, la PFC non è ancora completamente sviluppata, e questo non è solo un ostacolo alla razionalità ma anche all’empatia. Infatti, dal momento che la parte più anteriore della corteccia frontale (OFC)che si attiva quando dobbiamo riconoscere le emozioni e le intenzioni altrui e, dunque, che funge da mediatore sociale controllando le nostre reazioni nelle interazioni con le altre persone non è ancora completamente matura, gli adolescenti tendono a comportarsi in modo empatico.

È paradossale pensare che in un periodo in cui, come abbiamo visto, è oggettivamente complesso gestire anche le emozioni più banali e mettere in atto decisioni razionalmente convenienti, per ragioni sociali e non, siamo posti di fronte alla necessità di affrontare innumerevoli sfide: scegliamo i nostri interessi, la nostra cerchia di relazioni al di fuori della famiglia, aumentiamo la nostra indipendenza, acquisiamo diritti legali, scegliamo percorsi scolastici e lavorativi, dunque poniamo le basi per formare la nostra identità adulta[1].

In conclusione, alla luce dei dati che abbiamo su ciò che avviene al nostro cervello dalla pubertà in poi, possiamo spiegarci perché durante l’adolescenza siamo tutti legati da difficoltà e potenzialità comuni. Alla base della particolarità di questo periodo di vita c’è uno squilibrio tra il grado di sviluppo dei circuiti affettivi e decisionali. La spinta emotiva è fortissima, le ricompense hanno un valore accentuato e il freno della razionalità (controllo cognitivo) non funziona ancora a pieno ritmo. Tutto ciò rende difficile l’autoregolazione emotiva, la distinzione tra giusto e sbagliato e la valutazione delle conseguenze e i rischi di una scelta.

Questo non significa che tutti i comportamenti inadeguati debbano essere giustificati, ma ci allerta sulla vulnerabilità dellɜ adolescentɜ in relazione a determinati comportamenti, come condotte sessuali a rischio, assunzione di alcool e stupefacenti, ecc. Dall’altro lato, non dobbiamo dimenticare che il cervello è altamente plastico, soprattutto prima dei 30 anni, quindi l’adolescenza rappresenta anche un periodo prolifico per le nostre potenzialità. Le possibilità di apprendimento sono maggiori, possiamo imparare di più e in meno tempo. Attraverso le esperienze con il contesto e con le emozioni interne il cervello adatta la sua funzionalità e potenzia tutto ciò che lo rende più efficiente per gli interessi dell’individuo. Questo altro lato della medaglia della neuroplasticità, ovvero le enormi potenzialità di apprendimento a cui essa può portare, è uno dei motivi per cui non bisognerebbe frenare eccessivamente la curiosità e la spinta all’indipendenza dellɜ adolescentɜ. Nonostante la novità possa rappresentare un rischio, è anche un enorme fonte di crescita.

Irene Gigante

Bibliografia

  1. Hendry e Kloep (2003). Lo sviluppo nel ciclo di vita. Bologna: Il mulino
  2. Sarah-Jayne Blakemore (2008). The social brain in adolescence. Nature Publishing Group: Nature Review
  3. Poletti M. (2007). Sviluppo cerebrale, processi decisionali e psicopatologia in adolescenza. Neuroscienze e cervello
  4. Yang et al. (2015). Neural changes underlying successful second language word learning: An fMRI study. Journal of Neurolinguistics. Volume 33, Pages 29-49.

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